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Maria Amelia Monti: "Io, mamma di due figli nati dalla pancia e di uno adottato"

Intervista all'attrice a teatro con "La lavatrice del cuore": "Avevo remore a fare questo reading. Non riuscivo a leggere le lettere senza mettermi a piangere"

di Cinzia Marongiu   
Maria Amelia Monti: 'Io, mamma di due figli nati dalla pancia e di uno adottato'

Deve esserci un momento, magari quello in cui per la prima volta la tua mano da neogenitore si ritrova stretta da quella manina di sicuro ancora colma di perplessità, in cui senti che tutto cambia. Che niente sarà più come prima e che quell’infinito carico di desideri, aspettative, frustrazioni che accompagnano il cammino (spesso lunghissimo) di un’adozione, sta per lasciare il passo a qualcosa di nuovo. L’attimo della consapevolezza che una mini esistenza, già capace suo malgrado di sapere che sapore abbia l’abbandono, ti viene affidata. È a questo tourbillon di sentimenti che Maria Amelia Monti, attrice teatrale che ogni tanto si affaccia (con successo) alla ribalta televisiva, dedica uno spettacolo dal titolo “La lavatrice del cuore – Lettere di genitori e figli adottivi” che da qualche tempo gira l’Italia con la forza del passaparola, in certi casi ben più efficace di plotoni di marketing e social manager. Così alla vigilia dell’appuntamento al Teatro Massimo di Cagliari del 10 settembre, organizzato all’interno della campagna di sensibilizzazione “Incontriamo l’adozione” ad opera dell’Aga (associazione genitori adottati sostegno adozioni Sardegna), ne abbiamo parlato con Maria Amelia Monti che in questo reading così emozionante, oltre a prestare la sua voce e il suo talento alle storie degli altri, è anche testimone in prima persona di un’esperienza del genere, essendo “madre di due figli usciti dalla pancia e di un figlio arrivato aprendo una finestra sul mondo”, come dice lei.

“La lavatrice del cuore” ha una genesi particolare e una doppia anima: ce la racconta?
“In effetti è successo che due anni fa il Festival delle Lettere di Milano avesse come tema quello dell’adozione e che fossero arrivate ben 500 lettere da tutta Italia, una più bella dell’altra. C’era chi era stata adottata durante la guerra, chi in Ucraina era stata abbandonata dalla mamma e poi adottata in Italia, chi non c'era riuscito. C’era un mondo a cui a me era stato chiesto di dare voce: un reading di 10 lettere. Devo ammettere che le prime volte non riuscivo a leggerle, mi veniva da piangere”.

E poi che è successo?
“A quelle lettere, mio marito Edoardo Erba ha pensato di unire anche il racconto tragicomico della nostra esperienza di genitori adottivi, persi come tanti altri in una lunghissima trafila burocratica durata 4 anni, tra colloqui con psicologi, assistenti sociali e quant’altro”.

Un modo per alleggerire il clima dello spettacolo ma non per toglierne impatto emotivo: chi ha assistito alla “Lavatrice del cuore” non manca mai di sottolinearlo.
“Devo ammettere che avevo qualche remora a fare questo spettacolo, ma poi mi sono resa conto che il tema dell’adozione è un qualcosa di universale e che non riguarda soltanto chi ha adottato un bambino o chi avrebbe voluto e per mille vicissitudini non ci è riuscito. In realtà questo è un argomento che tocca corde profonde e dinamiche che riguardano tutti gli esseri umani. Chi non è mai stato coinvolto nell’esperienza dell’abbandono? Si è abbandonati quando si viene lasciati dal fidanzato o dal marito, così come quando muore una persona cara, o quando hai un secondo figlio e il primo si sente trascurato. E c’è chi diventa aggressivo o chi vive col freno a mano tirato proprio per paura di essere abbandonato di nuovo. I bambini adottati sono bambini che prima sono stati abbandonati. E poi si parla di amore incondizionato, puro, che va al di là del fatto che un figlio ti sia nato dalla pancia. L’amore che io provo per mio figlio adottato è lo stesso di quello che sento per i miei due figli nati dalla pancia”.

Durante i 4 anni di trafila burocratica ha mai avuto voglia di gettare la spugna?
“Edoardo ed io abbiamo iniziato quelle pratiche, avendo già due figli per cui la nostra non era una cosa morbosa. È successo che quando miei figli hanno cominciato a chiedermi un fratellino, io avevo già 43 anni e nessuna intenzione di ricominciare tutto da capo. Così ho detto loro: “Apriamo una finestra e se c’è un bambino del mondo che è destinato a noi arriverà”. Insomma lo abbiamo fatto con un senso di leggerezza anche perchè tutti ci dicevano che era difficilissimo, quasi impossibile. E invece allo scadere dei 4 anni, quando dovresti rifare tutti i documenti e la trafila da capo, questo bambino ci è arrivato davvero. Insomma un’esperienza faticosa, leggera, bella. Ma l’idea di gettare la spugna no. Edoardo ed io siamo abituati a tenere duro”.

E ora come va con il vostro figlio più piccolo?
“Robel adesso ha 9 anni, fa la terza elementare ed è molto simpatico. Fa davvero molto ridere perché è spiritoso e penso che da grande potrebbe fare l’attore. Anche se non glielo dirò mai”.

Un consiglio da dare alle coppie che si lasciano spaventare da lungaggini o da “lavatrici del cuore”?
“Purtroppo in Italia single e coppie gay non possono adottare. Il mio consiglio per le altre coppie è che, una volta assodato che entrambi si sia d’accordo, bisogna andare avanti. Ne vale la pena”.

Il suo bambino viene dall’Etiopia. Noi in Italia siamo secondi al mondo, dopo gli Stati Uniti, nelle adozioni internazionali. Per quelle nazionali invece ci sono pochissimi dati. Secondo quelli disponibili, nel 2009, a fronte di una richiesta annua pari a 16 mila bambini ne sono stati assegnati alle famiglie appena 1.800. Cosa ne pensa?
“Che siamo un Paese corrotto e che ci siano interessi a tenerli negli istituti questi bambini in modo da non rinunciare alle sovvenzioni. Così, come in qualsiasi altra cosa in Italia, si trovano tremila cavilli pur di tenerli là dentro. Ma su questo non voglio dire altro".

Com’è essere madre di figli adottati e di figli "nati dalla pancia". Mi racconta una cosa che ha imparato o che l’ha colpita particolarmente?
“Tutti i giorni viviamo delle esperienze pazzesche. Ma c’è un’immagine che mi torna spesso in mente. È stato quando con Edoardo e con gli altri due nostri figli, Marianna e Leonardo siamo partiti in Etiopia a prendere Robel. L’emozione più bella è stata vedere come un ragazzina di 15 anni e un bambino di 10 abbiano accolto questo bimbo, così aperti, così disponibili, così bravi. Io e Edoardo da soli, senza loro due, non ce l’avremmo fatta altrettanto bene. Non c’è una scuola per i genitori: vai a tentoni e segui il cuore”.

 

 

di Cinzia Marongiu   
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