Civiltà perduta, quel che è vecchio è nuovo
federico pontiggia

Un’ossessione. Una triplice ossessione: dell’esploratore, dello scrittore e del regista. E’ Civiltà perduta (The Lost City of Z), diretto da James Gray, tratto dal libro di David Grann, ispirato alla vera storia del leggendario esploratore britannico Percy Fawcett.
E’ opera splendidamente inattuale, un film d’avventura come non se ne fanno più, che riscalda reminiscenze salgariane, ascendenze herzoghiane – e Melville, e Bertolucci, e zero pippe pop – e ricorda a che cosa serva ancora oggi il cinema, e i film sul cinema come questo, e in che cosa la settima arte si differenzi dalla serialità tv e streaming.
E’ un film vecchio e, dunque, sfacciatamente nuovo, che frulla coraggio e passione, epica ed etica in formato famiglia e insieme panoramico. Nel libro di Grann James Gray ha trovato “un aspetto che mi ha colpito in particolare: quella era la storia di una persona per la quale la ricerca significava tutto”.
Non secondariamente, il regista è stato avvinto dal tema delle classi sociali e, appunto, delle relazioni familiari, già fil rouge della sua eccellente filmografia, basti pensare all’esordio Little Odessa (1994) e I padroni della notte (2007) che l’ha consacrato, ovvero al fascinoso Two Lovers (2008) e l’irrisolto, con classe, C’era una volta a New York (2013).
Cinematografo.