"A.C.A.B.", Sollima: "E' un film sull’odio della nostra società"

A.C.A.B. (All Cops Are Bastards) era il motto degli skinhead negli anni Settanta. Ora l’acronimo è diventato, prima, il titolo del libro di successo del giornalista Carlo Bonini, poi quello del film di Stefano Sollima, nelle sale dal 27 gennaio. Sollima è il regista della serie Romanza criminale che per la prima volta si cimenta con il cinema. “Per me è come se avesse fatto 22 film brevi”, è convinto Andrea Sartorelli, il Bufalo nella serie, che vede anche dei punti di contatto tra l’opera prima e il serial di successo: “lo stile asciutto”. In effetti ci sono delle similitudini, soprattutto sul piano stilistico, “nell’uso della musica come componente narrativa, ad esempio”, ci suggerisce lo stesso regista. “Per il resto A.C.A.B. è molto differente perché trattiamo temi sociali, con Romanzo invece eravamo più liberi di giocare”. Non pensiate comunque che si tratti di un film inchiesta, come Black Block sul G8 di Genova, qui ci muoviamo nei meandri del “genere poliziesco”, assicura Sollima.
Entrambe le fazioni hanno le loro colpe - I protagonisti parlano da soli: Cobra (Pierfrancesco Favino), Negro (Filippo Nigro) e Mazinga (Marco Giallini). Sono tre celerini che di violenza se ne intendono, ogni domenica si scontrano con tifoserie differenti. I loro metodi non sono certo sani, sembra che provino piacere nel manganellare i propri simili, come gli extracomunitari che capitano sottotiro. Ma certo dall’atra parte a tirare sassi e bottiglie non ci sono dei santi. Sollima sembra volerci dire proprio questo: entrambe le fazioni hanno le loro colpe. L’equilibrio è appunto la forza del film. Il Cobra è un solitario razzista che non si ferma di fronte a nulla, nemmeno davanti alla legge, cerca infatti di coprire i propri abusi e quelli dei compagni (“perché i celerini sono come una famiglia”, dice il film). Negro è della stessa pasta, pur avendo una famiglia (allo sfascio). Anche Mazinga, il veterano del gruppo, ha l’anima sporca, soprattutto si sente in colpa di aver trascurato il figlio dichiaratamente razzista. Tra le maglie nere si muove Adriano (Domenico Diele), una nuova recluta, che ha un’altra idea di servizio mobile e della legalità. Sullo sfondo passano di sfuggita i fatti del G8, la morte del tifoso Gabriele Sandri e quella dell’ispettore Raciti, rimasto ucciso durante i tafferugli dopo Catania-Palermo del 2007.
Sollima: "E' un film sull’odio della società in cui viviamo" - “Non abbiamo fatto un film sui celerini – dichiara il regista – ma sull’odio della società in cui viviamo. Un odio che ha sempre meno legami ideologici, come la politica che ormai sembra parlare dallo stesso megafono”. Nello stesso tempo “non criminalizziamo nessuno e non vogliamo fare la morale a nessuno”, prosegue Sollima. “Quando si scrive un libro o si fa un film è inutile confrontarsi con la morale, bisogna spazzare via certi preconcetti e affrontare gli argomenti, anche i più scomodi, ad occhi aperti”. Ed è lo stesso lavoro che hanno dovuto fare gli attori, “mettere da parte i pregiudizi, lavorare e far uscire le sensazioni che montavano sul set – racconta Favino – e vi assicuro che se ti trovi davanti chi ti lancia sassi o ti sputa addosso l’aggressività sale”. Con questo non si vuole giustificare la violenza del celerino, ma nemmeno chi attacca per partito preso, perché per qualcuno il colore dell’uniforme ha un solo significato: nemico.