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Addio a Paolo Villaggio, genio comico abbandonato dall'Italia. La figlia: "Mio padre, dimenticato dal cinema"

Non solo Fantozzi. Dagli sketch surreali nei cabaret e in tv al grande successo, fino al cinema d'autore con Fellini e Monicelli, ci lascia una "maschera" unica

Cristiano Sanna Martinidi Cristiano Sanna   
Paolo Villaggio
Paolo Villaggio

Abbiamo perso Paolo Villaggio. Erano le 6 del mattino, aveva 84 anni, si è spento nella clinica privata Paideia dopo essere stato ricoverato al Policlinico Gemelli. La figlia Elisabetta, in un recente post su Facebook si era lamentata pubblicamente per come l'artista, già gravato da problemi di salute, fosse stato dimenticato dallo spettacolo di casa nostra. "Il cinema italiano lo ha abbandonato, invece mio padre c'è", aveva scritto lo scorso marzo. Tiscali Notizie aveva raggiunto Elisabetta, scrittrice, per una intervista, ma lei aveva preferito il pudore e la riservatezza, limitandosi a confermare l'amarezza per l'oblio in cui era sprofondato l'artista genovese. La stessa Elisabetta ora saluta il padre su Facebook: "Ora sei libero di volare". Chissà se Fantozzi ora è in paradiso, di certo è in un Olimpo molto speciale, laico, riservato ai grandissimi artisti. Quelli che hanno saputo creare maschere indimenticabili, perfette per leggere una intera società, per incarnare un Paese, e in fin dei conti, l'umanità. Era la fine degli anni Sessanta quando nacque il ragionier Ugo Fantozzi. Doveva chiamarsi Fantocci, "perché era fatto di stracci", come spiegò Villaggio, reduce dalle prime scorribande in tv con altre maschere, ciniche, cattive, surreali, divertenti, come quella del professor Krantz. E bisognerebbe chiedere a quanti lavoratori, operai, impiegati e perfino piccoli imprenditori massacrati dalla crisi, dal sopruso finanziario, dalla politica e da padroni sempre più megadirettori, quindi con un potere altissimo, pesante, irresistibile, si sono sentiti o si sentono tuttora Fantozzi. Giusto per spiegare la bravura e l'acutezza di Villaggio nel creare il travet perfetto, il tapino che si arrende alla sua condizione in cambio di un reddito, per quanto modesto.

Ma era molto più di questo

Un mancato avvocato, un ribelle di buonissima famiglia ligure-siciliana-veneziana, questo era Paolo Villaggio, nato a Genova nel 1932, padre ingegnere e fratello genio degli studi che sarebbe diventato per direttissima docente alla Scuola normale superiore di Pisa. Paolo mollò Giurisprudenza e si unì velocemente nelle sue scorribande artistiche, anarchiche e avventurose, ad un altro figlio della Genova perbene, pure lui di altissima borghesia e pure lui insofferente alle regole: Fabrizio De André. "Eravamo due cialtroni", più volte l'attore scomparso ha definito così la sua amicizia con Faber, tra i vicoli della Genova meno raccomandabile. Le crociere insieme, in cui lui, cabarettista disprezzato dal pubblico e incurante delle sue reazioni, presentava il compare, cantautore problematico e oscuro. Sconcertanti, entrambi. Ma destinati a grandi cose. Presero una querela per il testo della canzone Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers, dove osarono scrivere, nell'Italia democristiana degli anni Sessanta, che il re deluso da una prostituta si allontanava "frustando il mulo, con una gran faccia da culo". Si divisero, si ripresero, crescendo entrambi in una carriera che, anche di fronte al grande successo, li conservava come irregolari. Villaggio aveva cominciato ad avere successo già prima dell'invenzione di Fantozzi. 

Il cinema d'autore, e poi quello comico

Il giovanissimo Paolo Villaggio si era già fatto notare nei primi anni Sessanta nella antica Compagnia Goliardica Baistrocchi, nella sua Genova. Poi aveva sfondato al Derby di Milano, la "mecca" nazionale del cabaret, quella da cui passavano Fo, Gaber, Jannacci, Cochi e Renato, solo per fare alcuni nomi. Promosso alla radio da Maurizio Costanzo, perfezionò i suoi personaggi fino a debuttare in tv Quelli della domenica. Dove i personaggi del sadico dottor Krantz e del goffissimo Fracchia colpirono il grande pubblico. Ma al cinema, mentre preparava il debutto di Fantozzi, recitava in Brancaleone alle Crociate di Mario Monicelli e in Senza famiglia, nullatenenti cercano affetto e Che c’entriamo noi con la rivoluzione? con Gassman, e in Non toccare la donna bianca di Marco Ferreri. Il sodalizio con Salce, cominciato con film antiborghesi e spiazzanti come Alla mia cara mamma nel giorno del suo compleanno (con una giovanissima e conturbante Eleonora Giorgi) produsse il "boato" finale di Fantozzi. Un successo incredibile, che vide Villaggio convertirsi al genere comico, e rilanciare con una serie di libri sul celebre ragioniere che ne decuplicarono la riuscita commerciale. 

L'ultimo saluto della figlia all'attore

I premi, e l'oblio

Fantozzi resta uno dei marchi di fabbrica, dei franchise, più riusciti e celebrati della storia dello spettacolo italiano. E Villaggio continuò a prestarsi a quella maschera. Ma non fu solo quello il suo talento, fare il contropelo alla remissività dell'uomo in cambio di uno stipendio. Continuò a lavorare in tv con show di successo (fra tutti Un fantastico tragico venerdì) e a frequentare il grande cinema d'autore: Cari fottutissimi amici, di Monicelli, La voce della luna, di Fellini, con lui sul set anche Benigni, ll segreto del bosco vecchio di Olmi. Rimbalzando fra questi lavori, un memorabile L'avaro di Moliere presentato a teatro, e gli sfracelli al botteghino di commedie come Tre tigri contro tre tigri, I pompieri, Scuola di ladri, Rimini Rimini.  Tra le ultime sue apparizioni al cinema, un piccolo ma incisivo ruolo nei panni di un professore in Generazione mille euro. Più recentemente compariva solo in sporadiche interviste sulla sua vita, sull'amicizia con De André, e in qualche serata in cui era ospite. Lontano da quell'arte del palcoscenico, del grande schermo, che da autore satirico lo aveva consacrato a geniale lettore dei vizi dell'Italia strappata alla terra e illusa dal sogno industriale, quello che sacrificava la dignità personale in cambio di un frigorifero nuovo, o di una Peroni gelata di fronte alla tv dove guardare la Nazionale. Sempre che nel mentre non arrivasse la telefonata maledetta del mega direttore che ti invita a vedere La Corazzata Kotiomkin. Quella cagata pazzesca che ha fatto la storia del cinema (il Potemkin di Ejzenstejn). Villaggio, uomo colto e dunque con pieno diritto di beffa, lo sapeva bene. E vai con 92 minuti di applausi. 

Una delle "mostruose" disavventure di Fantozzi
Cristiano Sanna Martinidi Cristiano Sanna   
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