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A Venezia "Rebibbia Lockdown", legalità e umanità in tempi Covid

di Askanews   
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Venezia, 10 set. (askanews) - Un docu-film in presa diretta, girato e raccontato dentro il carcere di Rebibbia, a Roma. I protagonosti sono i detenuti-studenti. Non certo degli attori professionisti. Seguiti da prof d'eccezione: quattro universitari della Luiss Guido Carli incaricati di portare i detenuti alla laurea. Il Covid all improvviso blocca ogni incontro. I due mondi estranei sono quindi accomunati dallo stato di detenzione imposto dal contagio. Nasce un fitto rapporto epistolare. Una sorta di "didattica" on line. Per mesi i ragazzi e i detenuti si svelano gli uni agli altri per i tortuosi sentieri del dolore, fra paure e speranze. Si incontreranno, infine, nel luogo del sapere: l aula universitaria di Rebibbia.Si intitola "Rebibbia Lockdown", il docufilm del regista Fabio Cavalli, nato da un idea di Paola Severino e presentato a Venezia in uno degli eventi collaterali della 78esima Mostra Internazionale di Arte Cinematografica.

Un incontro fra ragazzi e detenuti che, mentre il mondo cambiava, ha cambiato profondamente ciascuno dei protagonisti."Un messaggio importante e commovente. Guardare al carcere - ha detto Paola Severino, cicepresidente Luiss - all'altro che non consideriamo mai perché è diverso, perché diciamo che è colpevole. Oggi abbiamo visto un condannato che ha detto 'Sono copevole'. Devo essere giudice e non avvocato di me stesso, ma era proiettato verso la rieducazione. Già riconoscere la propria colpevolezza. E questi ragazzi pieni di sentimenti che hanno riconosciuto la solitudine dl carcere la loro solitudine nel lockdown, hanno studiato con i detenuti. Ma hanno anche imparato tanto da loro. Giudicare è sì un compito ma anche rieducare, per chi ama la giustizia, rappresenta un compito fondamentale"."Quello che ci tengo a dire - ha aggiunto Fabio Cavalli, il regista - è che questo film ha tre linee direttrici: la realtà, la ricostruzione della realtà e l'animazione. Ciasuno dei personaggi è lui ma interpreta se stesso. Anche la prof. Severino ha recitato se stessa, anche i detenuti e i ragazzi della Luiss. È un modo nuovo di raccontare, attraverso il cinema, quando la parola non può dire".Dalla voce dei ragazzi protagonisti del docu-film. "Ha lasciato un segno e spero che possa dare qualcosa anche alle persone che vedranno il film". "Mi sono sentita molto vicina delle persone che forse erano in condizione più drammatica di come abbiamo vissuto noi". "Questa esperienza mi ha lasciato unn profondo senso di umanità. Entrando inc arcere devi prima conoscere la persona e successivamente il reato che ha commesso"."Tra le tante cose mi ha lasciato la magia, la profondità dell'incontro con i detenuti che sono prima di tutto persone e che appartengono a un microcosmo spesso sconosciuto ma che fa parte del nostro universo. Dobbiamo imparare a riconsocere maggiormente per un futuro rieducativo comune e che riguarda tutti noi".

di Askanews   
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