Lidia Poet: troppo sesso e parolacce, poca realtà storica. La serie che divide in modo feroce
Netflix sostiene che sia la terza più vista al mondo. Matilda De Angelis è sboccata, energica, affascinante, ma che ne è della vera vita della prima avvocatessa?

Come sta andando La legge di Lidia Poet dal giorno di debutto su Netflix? Benissimo, dice Netflix. La serie italiana diversissima dalle fiction Rai e Mediaset è la terza più vista al mondo fra quelle distribuite dal gigante americano dello streaming. Tutto bene, dunque, per Matilda De Angelis nei panni della rivoluzionaria avvocatessa italiana, prima iscritta all'Albo nell'Italia post fascista e dopo esserne stata cancellata al periodo del Regno d'Italia perché donna e dunque inadatta? Insomma. La serie divide: piace molto o respinge. Le critiche più severe che sta raccogliendo riguardano sesso e turpiloquio. Le scene esplicite e di nudo ci sono, la Lidia Poet della brava ed energica Matilda De Angelis parla come uno scaricatore di porto, è disinibita e irrefrenabile, dirige indagini come se fosse una sorta di Sherlock Holmes al femminile. E con quella realmente esistita c'entra poco.
Ciao verità storica, conta l'efficacia
Montaggio rapido, musiche dinamiche, colori accesi, narrazione veloce e serrata, la serie prodotta e diretta da Matteo Rovere (che aveva già lavorato con la De Angelis in Veloce come il vento) si prende molte licenze rispetto alla vita della reale avvocatessa Lidia Poet, valdese vissuta in Piemonte. Che per tutta la vita sfidò l'impianto della sentenza emessa dal Procuratore generale del re secondo cui: "E' disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra, agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano, e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene di osservare". Laureata a pieni voti, continuò ad esercitare nello studio del fratello senza firmare gli atti, e a battersi per i suoi diritti di donna e di persona. Fino alla promulgazione della Legge Sacchi nel 1919, che apriva al voto e alle donne nell'esercizio di tutte le professioni e i ruoli pubblici. Di tutto questo in La Legge di Lidia Poet c'è poco, la fiction predilige ritmo, tinte forti, colpi di scena e un tono che guarda al pubblico di giovanissimi.
Matilda sprint e la protesta: "Non è quella la prima avvocatessa italiana"
Matilda De Angelis ha spiegato come ha affrontato le scene spinte in La legge di Lidia Poet, intervistata nel programma Rai di Cattelan ha detto: "Non dico che sia contro natura ma non è per tutti. Io ero agitata, il mio partner con cui avrei di lì a poco dovuto girare le scene di sesso, era agitatissimo. Ci siamo aiutati scambiandoci l'agitazione". Nel mentre arriva la protesta di Cecilia Di Lernia, avvocato ed ex assessora del Comune di Trani che sostiene che la Poet non è stata affatto la prima donna avvocato in Italia. Il primato assoluto spetterebbe a Giustina Rocca, vissuta nel 1400 e legale nel Tribunale di Trani, "celebre per il lodo arbitrale reso l’8 aprile 1500 e da costei pronunciato in lingua volgare, anziché in latino secondo gli usi dell’epoca, per renderlo comprensibile al pubblico venuto per assistere alla pronuncia". Per questo la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha dedicato a Giustina Rocca nel dicembre 2022 una torre, ha ricordato ancora la Di Lernia. Come scrivevamo: molta fiction, tinte forti, ritmo veloce, poca storia reale di Lidia Poet. Un primato già conteso da un'altra italiana eccellente, cinque secoli prima.