M il pagliaccio infoiato per le donne che ha plagiato gli italiani? Cosa non abbiamo capito della serie tv
Come prevedibile, il lavoro di Joe Wright con Marinelli nei panni del Duce ha successo e fa parlare moltissimo di sé. Ma spesso per i motivi sbagliati

C'è un primo piano di Benito Mussolini, in M, con la faccia di Luca Marinelli, gli occhi e la bocca spalancati in favore di telecamera, mentre il Duce si accompagna (diciamo così) con Margherita Sarfatti che dice molto di come sta venendo percepita la serie Sky tratta dal libro di Scurati e diretta da Joe Wright. Gli ammiratori di colui che "ha fatto anche cose buone" commentano inorriditi che si sta trasformando un grande statista che poi ha sbandato verso l'orrore, ma anche i detrattori che applaudono a questo ritratto esagitato ed eccessivo del creatore del fascismo, commentano sottolineando questa sua rappresentazione da marionetta del Male. Fra crisi di inferiorità (verso D'Annunzio in particolare) e re Savoia nanerottoli. Ma M, a raffreddare gli animi e guardare meglio, ci sta mostrando altro. Che fatichiamo a capire.

Oltre gli errori storici
Poi ci sono gli storici, da Gianni Oliva, che all'analisi di cosa sono stati Benito Mussolini e il fascismo quasi cento anni fa ha dedicato studi e libri, al Giordano Bruno Guerri che insiste che oggi il fascismo è esperienza irrealizzabile e tuona contro l'eccesso di paura e di catastrofismo. Sottolineando entrambi che quell'M mostrato così, filmato così (ad echeggiare quasi il mostro di Dusseldorf, primo serial killer della storia del cinema, simbolo del Male assoluto) non agisse da solo ma avesse appresso 45 milioni di italiani. Tutti antifascisti, come si chiede perfino nel suo ultimo libro Oliva? Quindi andiamo oltre gli errori storici (segnalati da diversi studiosi, compreso l'accenno ai paradisi fiscali che allora non esistevano) per provare a tirar fuori dalla serie di Sky il tema principale. Il meno percepito dal pubblico, e bisognerebbe chiedersi perché.
Come funziona un regime
La spettacolarizzazione visiva di M (con molti momenti suggestivi che lo agevoleranno nel successo internazionale) sta rendendo poco lucido anche lo sguardo di commentatori esperti su questa serie. E' chiaro che Marinelli e Wright rendono Mussolini assolutamente centrale nella narrazione, in modo titanico, e fastidioso. Ma attorno a questo, la serie mostra due cose, che sono alla base di tutti i regimi e quindi anche di quello fascista: la violenza del sovrapporsi alle istituzioni precedenti, e l'uso dell'accentramento dell'informazione per raccontare una sola verità, unica e incontestabile.

Il monopolio dei media diventa il monopolio del pensiero, del sentire della gente, e dei suoi comportamenti a seguire. In M c'è anche questo, e la ripetizione degli slogan che illudevano la gente di contare finalmente qualcosa nello scacchiere della Storia, post Prima guerra mondiale e in mezzo alla fame, diventava ripetizione ginnica, di movimenti, di saluti, di pose. Ma tutto partiva dall'accentramento dell'informazione. Diamoci uno sguardo attorno: oggi i canali informativi veri o presunti sono migliaia, ma le piattaforme che accentrano, definiscono, censurano, plasmano il tutto sono sempre meno. E in mano a pochissime, ricchissime persone, sempre più vicine al potere politico o già dentro all'esercizio di esso. I nomi li conosciamo. Si chiamava M quasi cento anni fa, ora ha iniziali forse differenti, ma il pericolo c'è. E ci chiama in causa tutti e tutte.
