Stefano Accorsi magistrato incorruttibile contro la camorra

Dopo il Capo dei capi Mediaset punta ancora, insieme al produttore Pietro Valsecchi, su una serie tv che parla di malavita, questa volta in Campania. Si intitola Il clan dei camorristi e andrà in onda in prime time su Canale 5 dal 25 gennaio (per otto serate). Si parte dal terremoto dell’Irpinia del 1980 per arrivare al 1998, si parte da quando la camorra “si è impossessata dei miliardi destinati alla ricostruzione”, afferma il produttore della Taodue, da quando “ha fornito alle industrie del Nord un intero territorio dove smaltire i rifiuti tossici e ha corrotto politici e amministratori pubblici”, dalla distruzione dei Cutolo si arriva alla nascita di una nuova dimensione criminale. Su questo sfondo preso dalla cronaca del nostro paese si muovono le pedine della dama creata per lo più dagli sceneggiatori della serie Romanzo criminale: “Non si tratta di un trattato di impegno civile ma semplicemente di una fiction d’intrattenimento - afferma uno dei quattro story editor – e allo stesso tempo è una serie che racconta cos’è stata e cos’ è la camorra”.
Il ritorno in Campania del magistrato Esposito - Le pedine della scacchiera sono Francesco Russo (Giuseppe Zeno), detto “O’ Malese” che entra nel clan di Don Antonio (Massimiliano Gallo) per dar sfogo alla sua sete di potere, mentre contro troviamo il magistrato Andrea Esposito (Stefano Accorsi) che da Torino si trasferisce con la moglie Anna (Francesca Beggio) in provincia di Caserta, dov’è nato. Qui inizia a combattere la sua battaglia contro la malavita, e nonostante i mille ostacoli e la morte del fratello minore Marco (ucciso da quel cancro che ha permeato il territorio) non abbandona il campo. Un viaggio che racconta l’evoluzione della camorra, “che da criminalità organizzata diventa un pezzo di potere politico ed economico del paese”, dichiara Claudio Fava, uno degli sceneggiatori.
Accorsi: "Era il progetto giusto" - È da un po’ di tempo che Stefano Accorsi non approdava alla fiction italiana, “non è calcolato, dipende da quello che mi viene offerto – afferma l’attore che vive a Parigi con Laetitia Casta – quando mi è arrivato questo copione non potevo dire di no visto l’alto livello della scrittura e della produzione. Era il progetto giusto che raccontava la malavita e allo stesso tempo chi la combatte, e lo faceva senza idealizzare nessuno. Tradiamo la realtà, ma non la profonda verità dei personaggi, e questo è fondamentale quando si parla d’Italia”. Un altro aspetto importante “era non fare del magistrato un Arcangelo Gabriele con la spada infuocata”, rivela Accorsi, e questo è stato un suggerimento del giudice Raffaele Cantone (colui che ha fatto condannare il boss Francesco Schiavone, detto “Sandokan” ndr) all’attore prima delle riprese. Altri suggerimenti? “Gli ho fatto delle domande intime, sul suo rapporto con gli uomini della scorta, con sua moglie, e come viveva la quotidianità”.