"Basta con Accorsi che fa se stesso": cosa c'è di vero nel Marconi fascista e nel "raggio della morte"
La miniserie Rai celebra lo scienziato ma sono diversi a sottolineare le lacune e la tendenza al "santino". E i fatti scomodi taciuti? Qui il punto
Aldo Grasso, si sa, è uno difficile da accontentare. Forse il critico tv più infliuente d'Italia, ha però subito colto due punti critici della miniserie Rai Marconi - L'uomo che ha connesso il mondo. Uno dovuto al suo interprete principale, Stefano Accorsi: "Che da troppo tempo non fa che interpretare se stesso con preoccupante staticità". L'altra è nel rapporto di Guglielmo Marconi, di cui ricorrono i 150 anni della nascita, con il regime fascista. Grasso mette in evidenza il vero limite delle serie-ritratto, che spesso sconfinano nell'agiografia e nel santino. Eppure la serie è stata realizzata con la consulenza storica della famiglia Marconi.
Il Duce e la sua richiesta
Guglielmo Marconi vinse il Nobel per la Fisica nel 1909 per aver perfezionato le trasmissioni a distanza via onde radio fino alla nascita del radiotelegrafo, alla base dell'invenzione della radio e dei successivi metodi di comunicazione senza fili. Benito Mussolini si accorse di tanto genio e del suo valore strategico, e se la storicità del rapporto fra i due è ancora controversa e oggetto di diverse revisioni, meno dubbi si hanno che Marconi aderisse in un primo periodo con entusiasmo al regime. E' suo il discorso in cui diceva "rivendico l'onore di essere stato in radiotelegrafia il primo fascista, il primo a riconoscere l'utilità di riunire in fascio i raggi elettrici" è nei saggi storici. Dal canto suo, il Duce confermava l'entusiasmo con cui lo scienziato e inventore "abbracciasse fin dall'inizio la dottrina delle Camicie Nere, orgogliose di averlo nei loro ranghi". Era il 1937, quasi novant'anni dopo la fiction su Marconi sorvola molto su questi dettagli e arriva alla conclusione del rapporto fra i due, l'ultimo periodo in cui lo scienziato trascorreva il tempo fra le ricerche in laboratorio e il panfilo Elettra in cui più spesso stava la sua famiglia. In punto di morte disse: "Ho fatto del bene al mondo oppure ho aggiunto una minaccia?". Il riferimento era alla volontà di Mussolini di entrare in guerra contro la Gran Bretagna. Poi c'era in ballo la questione dell'arma definitiva che gli aveva chiesto il Duce.
La questione del "raggio della morte"
Da sempre si parla di Guglielmo Marconi come incaricato da Benito Mussolini di sviluppare finalmente l'arma più terribile ed efficace, coinvogliando le onde in un flusso unico di energia capace di colpire, uccidere o provocare danni a distanza. Qui si entra in un territorio scivoloso, fatto di si dice, di riscostruzioni spesso forzate e fantasiose (inclusi i presunti esperimenti paralleli di Tesla, "rivale" di Marconi) che risalirebbero perfino ai miti greci e all'opera di Archimede. Condensando al massimo il discorso, ci si può fermare sul racconto di Rachele Mussolini che si trova nel libro Storia e gloria del cannone della morte scritto da Nicoletta Verna. Secondo questa versione, la moglie di Benito Mussolini raccontò come poco dopo le tre di un pomeriggio del giugno 1937 l'auto in cui viaggiava si arrestò improvvisamente e così tutte le altre che andavano da Roma ad Ostia. Dopo neanche una mezz'ora tutti i motori si riavviarono. Sarebbe poi stato lo stesso Duce a dire a donna Rachele che non si era trattato di una casualità ma di un esperimento di Guglielmo Marconi con la mitica nuova arma, il cui sviluppo (qualcuno ha scritto che si partisse da tecnologia extraterrestre) era affidato al Gabinetto R/33 diretto dallo scienziato. Verità taciuta? Mito? Di certo, su questo la miniserie Rai ha sorvolato.