Perché "The patient" non è una serie come le altre: Steve Carell nei panni di uno psicologo tra la vita e la morte
Dieci episodi che si vedono uno dopo l’altro e che lasciano un segno indelebile tra continui salti temporali e l’introspezione dei protagonisti
Un assassino può guarire? Può smettere di voler uccidere le persone a sangue freddo solo per soddisfare un impulso? Ne è convinto Sam Fortner che decide di rapire il suo terapista per riuscirci. Ecco che il dottor Alan Strauss si risveglia in un letto. Ha una catena alla caviglia, è in una stanza con un tavolo e il necessario per sopravvivere. A portargli da mangiare il suo aguzzino che fa l’ispettore nei ristoranti per il ministero della salute. Per questo non manca mai il pranzo, la cena o la colazione. E poi ogni sera, quando rientra da lavoro Sam fa una seduta con lui. Lo ha portato in casa sua, fuori città o meglio casa di sua madre che tra l’altro è con loro e che, nonostante sappia che suo figlio stia sbagliando non sa come fermarlo.
L’origine del male
La storia di questo ragazzo comincia nell’infanzia, quando era picchiato brutalmente dal padre. È lui la causa della sua ossessione: uccidere. Ma non uccide chiunque, solo chi è stato scortese nei suoi confronti o chi non appartiene alla categoria delle persone educate. Ha una sua metrica di giudizio, e non può evitare di togliere la vita. La terapia cominciata con Strauss prima di rapirlo non ha dato grandi risultati ed è convinto che solo in questo modo, ponendo il terrore alla base del rapporto il suo terapista possa salvarlo.
Terapia e analisi
E Alan ci prova, con tutte le sue forze. Ma non è semplice e soprattutto non è semplice farlo sapendo di rischiare di diventare la prossima vittima dell’uomo che gli sta di fronte. Inoltre anche la sua vita non è semplice. Ha da poco perso sua moglie con un tumore, ha due figli, uno dei quali diventato ebreo ortodosso, a differenza di lui, ebreo liberale. Durante questa prigionia farà un’analisi anche su sé stesso. Si fa spazio però l'immaginazione, i giochi della mente. Eccolo infatti di fronte al suo terapista ormai morto, a raccontargli quello che sta succedendo e a cercare di capire come reagire.
Un serial diverso dagli altri
The patient non è una serie tv come le altre. Non è semplice mantenere l’attenzione dello spettatore avendo pochi scenari, prevalentemente il luogo della prigionia, e pochissimi personaggi. Eppure un po’la brevità degli episodi, i continui salti temporali e l’introspezione dei protagonisti rende il tutto molto interessante.
Gli interpreti
Steve Carell mostra una grande bravura in questo ruolo. Impossibile non ammirare la sua compostezza, l’impassibilità nello sguardo di una persona consapevole del suo destino ma che lotta per la sua vita. Spesso associato come attore a ruoli comici mostra di saper essere un attore completo.
Domhnall Gleeson interpreta Sam, un pazzo, uno psicopatico, e lo fa benissimo. La pazzia appare dai suoi occhi, dai suoi movimenti, piccoli atteggiamenti impercettibili, che mostrano un lato prevalente nella sua persona. Ma nonostante tutto non si odia completamente. Si spera che possa cambiare, guarire il male che si porta dentro, il perverso dolore che ha fatto passare lui da vittima indifesa di un padre violento, a feroce e spietato assassino, che toglie la vita con le sue mani fino a sentirla spegnersi.
E poi c’è Linda Emond, madre di Sam. Una donna prima vittima di suo marito e poi di suo figlio, che protegge e copre nonostante sappia che sia uno squilibrato. Si sente responsabile per quello che commette. Ma non ha la forza per fermarlo. Anche in questo caso la sua personalità emerge dagli occhi. Uno sguardo basso e spaventato, un amore che solo una madre può avere, nonostante tutto quello che succeda davanti a lei.
Dieci episodi di circa trenta minuti ciascuno che si vedono uno dopo l’altro e che lasciano un segno, indelebile, e un senso di amaro in bocca, difficile da mandare giù.