Bonolis a sorpresa: "Sanremo? Non è un capitolo chiuso. Visvelo i difetti della tv di oggi"
“Ecco qual è la differenza tra le interviste di mia moglie e di chi lo fa per mestiere; "Ciao Darwin” funziona pure in replica? Divertente constatare che chi lo criticava non ha capito una mazza. Amazon? Perché no?": intervista esclusiva al conduttore
“Sanremo? Non è un capitolo chiuso”. Amazon o altre piattaforme streaming? “Perché no? Purché ci sia un’idea stimolante”. “Ciao Darwin” funziona pure in replica? Divertente constatare che chi lo criticava non ha capito una mazza”; La vittoria in prima serata? “Bene. Ma in autunno ci vorrà un programma da prima serata più che un preserale riadattato”. La tv generalista? “Oggi si tende troppo a gridare al flop o al trionfo. E poi basta con le fiction che raccontano come eravamo”. Intervistare Paolo Bonolis è un’occasione per guardare nel fondo del piccolo schermo, per individuarne debolezze e limiti, ma anche nuove sfide e possibili traguardi. L’intelligenza capace di traiettorie non scontate, lo sguardo divertito e mai giudicante, la leggerezza ben salda al potere. Sono pochi in Italia a conoscere la tv meglio di lui, mattatore a tutto campo ma anche autore di format, principe degli ascolti e per tanto tempo “oggetto del desiderio” del video-mercato, conteso da Rai e Mediaset a suon di milioni. Da qualche anno è accasato sotto le insegne del Biscione e ora, dopo due stagioni a pane e preserale, è tornato alla ribalta della prima serata. “Ci siamo riaffacciati al balcone con “Avanti un altro! Pure di sera” che è un preserale riadattato e a sua volta un varietà camuffato da preserale. Il tutto con la fionda dell’allegria, del disincanto, della leggerezza: in un periodo come questo credo ce ne sia particolarmente bisogno. È quasi normale che possa funzionare perché più che un piacere è una necessità stare bene”.
E pure i vip ci hanno messo del loro. A proposito, confermi che non c’era niente di preparato, a cominciare dalla contessa De Blanck che ha lasciato tutti a bocca aperta?
“Il problema è che la bocca l’ha tenuta aperta anche lei. Aveva questa temibile fessura che si era procurata poco prima della puntata incastrando il dente in un biscotto. Sono davvero così, personaggi liberi nella mente e nel corpo che si lasciano andare alla loro natura. Peraltro noi facciamo tutto il possibile perché questo accada. Non c’è niente di preparato. E loro sono liberi di seguire il flusso di ciò che gli viene per la testa. Il problema, appunto, è ciò che gli viene per la testa”.
Era tanto tempo che Mediaset non vinceva la serata della domenica. Hai ricevuto complimenti, telefonate? A questo punto si può supporre che “Avanti un altro! Pure di sera” possa continuare anche in autunno?
“Abbiamo vinto, è successo. Ora ci saranno nove puntate e probabilmente ce ne saranno altre 5 o 6 dopo l’estate. Però poi mi auguro che se debba esserci una prima serata ci sia una vera prima serata più che un preserale addobbato perché è un po’ faticoso farlo. Anche se il divertimento che ne scaturisce, per quanto agli studi ci si arrivi camminando sui gomiti, lenisce tutte le fatiche e ti fa stare bene”.
Per una prima serata futura pensi a qualcuno dei format che già hai fatto o a qualcosa di nuovo? Perché comunque avere il numero uno in casa e non fargli fare il prime time è quantomeno strano. Io me lo sono sempre chiesta. Tu che risposta ti sei dato?
“Io? Manco gliel’ho chiesto, quindi figurati se mi preoccupavo della risposta. Ci sono delle cose che sono andate in prima serata e che sono andate tremendamente bene. Erano figlie della volontà di scrivere dei format nuovi. Abbiamo fatto “Chi ha incastrato Peter Pan”, “Ciao Darwin”… ma anche lo stesso “Senso della vita” quando è andato in prime time. E pure “Scherzi a parte”. Insomma abbiamo fatto diversi programmi. Però mi piace l’idea di immaginare qualcosa di nuovo e di non rifare sempre le stesse cose. Se questo qualcosa di nuovo verrà accettato dall’azienda, potrebbe essere la circostanza nella quale si torna in prima serata. Però, insomma, l’importante è che quello che fai sia un buon prodotto. Che sia divulgazione, informazione o disimpegno. Poi che lo collochi nel preserale o in prima serata poco cambia. L’importante è che non sia la mattina presto perché dormo”.
A proposito di leggerezza, in questo periodo ci sono tanti programmi votati al divertimento. A cominciare da “Lol – Chi ride è fuori” che ha avuto un grande successo di gradimento sui social. Potrebbe interessarti sperimentare nuovi format in una piattaforma streaming, come ad esempio Amazon Prime Video?
“Sì, potrebbe interessarmi. Dipende da cosa si propone, che cosa si vuole fare. Non ho mai lavorato su una piattaforma differente da quelle della tv generalista. L’unico colloquio che ebbi fu con Discovery: si trattava di andare a Tokyo per fare dei servizi durante le Olimpiadi. Poi però sono saltate per via del Covid. Certo, perché no? Hai parlato del successo di alcune trasmissioni e di altre che stanno debuttando, come quelle di Ale e Franz, di Pio e Amedeo. Il fatto è che quando c’è una pressione così gravosa la possibilità di premere “off” dall’impegno e premere “on” della leggerezza credo sia profondamente disintossicante. Mi domando perché queste trasmissioni non le vendano in farmacia”.
In effetti questo potrebbe essere il momento giusto per rifare “Ciao Darwin”. A me a volte è sembrato che lo facessi con qualche senso di colpa.
“Non mi sono mai vergognato di fare un prodotto come “Ciao Darwin” anche perché l’ho scritto: e che sono scemo? L’ho anche venduto e ha strafunzionato non solo quando è andato in onda ma anche quando lo hanno replicato, e replicato, e replicato e replicato. Quante volte? Direi troppe. Non mi sono mai pentito di averlo fatto e anzi mi sono molto divertito. Soprattutto nel leggere quelli che lo criticavano (vedi Aldo Grasso, ndr) perché nel loro modo di vedere che rispetto profondamente non hanno capito una mazza. Ma non credo che si possa tornare ora a fare “Ciao Darwin” sinceramente”.
Perché?
“Perché non mi va per una serie di ragioni: usura del prodotto, che meriterebbe un lasso di tempo per rasserenarsi e lasciare anche una scia di disponibilità emotiva da parte nostra per tornare a farlo. È un prodotto piuttosto incombente e ti assicuro che un conto è farlo a 35-38 anni, un conto farlo a 60. È veramente una mazzata. Però è molto divertente. Anzi, credo che sia l’unico vero varietà perché è un fil rouge di due ore e 40 nel quale si schiudono 7/8 capitoli differenti. È scritto con capacità, poi magari non è sempre realizzato benissimo da parte mia. Ma si può dire che sia stato una specie di astronave madre. Da “Ciao Darwin” sono usciti spin off ovunque”.
Beh, uno lo abbiamo appena visto: direi che “Game of Games”, il nuovo programma su Rai2 di Simona Ventura, ha preso qualcosa da “Ciao Darwin”.
“Per l’amor di Dio, quando giochi, giochi. In “Darwin”, oltre a giocare, c’è una narrazione di totale disimpegno antropologico e sociale. È divertente in questo senso. Non ci sono personaggi che fanno delle cose, c’è della gente comune assemblata per categorie. Ma è ovvio che quando una cosa funziona, altri provino ad attingere da quella cosa per creare nuovi satelliti. Ci mancherebbe altro”.
Quando si parla con te viene sempre in mente Sanremo perché vieni spesso tirato in ballo. Dipendesse da te ti piacerebbe rimetterti alla prova con un evento del genere oppure è un capitolo chiuso?
“I capitoli chiusi non esistono. Esistono capitoli già letti e capitoli che si possono scrivere meglio. Chiusi, no”.
Nonostante la proliferazione di canali digitali, satellitari e in streaming, la tv generalista continua a dire la sua. Eppure Rai e Mediaset non stanno attraversando momenti facili: non mancano incidenti di percorso e scelte fallimentari. Secondo te, cosa c’è di buono e dov’è che si sta sbagliando?
“Non credo che siano stati fatti degli errori. Piuttosto dei tentativi, che come tali possono andare meno bene rispetto alle aspettative. Diciamo piuttosto che viviamo in un’epoca di aspettative esagerate. Ogni cosa o è un trionfo o è una sconfitta totale. Mentre ci sono anche prodotti che accontentano una fetta di pubblico magari inferiore a quello che si aspettava l’azienda. Ma le aspettative dell’azienda non sono colpa del prodotto. Quindi l’errore non è nel prodotto ma nell’aspettativa. Le piattaforme digitali nel frattempo si sono riempite di pubblicità. Quindi è il mercato che comanda piuttosto che le idee. Se dovessi fare una scelta, mi piacerebbe che nelle fiction in Italia la smettessimo di raccontare solo ciò che siamo stati e iniziassimo a occuparci di ciò che potremmo essere. Se ci fai caso le fiction partono da Garibaldi a Francesco Baracca, da Michelangelo a Leonardo Da Vinci. Sembra che abbiamo mille passati e nessun futuro. E invece se prendiamo le serie tv ambientate ai giorni nostri trattano soprattutto di commissari ammazzati dalla mafia, camorristi, delinquenti, stupratori, assassini. Ecco, io invece credo ci sia un’Italia in grado di potersi raccontare in chiave progettuale. In quanto alle piattaforme, si avvicinano alle nuove generazioni perché hanno un formato breve. Lo stesso “Lol” ha una comicità da Tik Tok. La battuta secca, il pernacchio, la cosa immediata e si chiude lì. Questo perché le nuove generazioni hanno difficoltà ad assecondare il racconto. Lo vedo anche con i miei figli: quando una cosa dura più di cinque minuti è tediosa. Per loro è tutto molto veloce”.
Nel frattempo hai anche esordito con successo come scrittore. Hai in cantiere un nuovo libro?
“E però ti devi decidere pure te… Quante cose devo fare? O faccio i format, o scrivo… Ma no, ci sono altre cose affascinanti nella vita, tipo seguire i miei figli, andare a pesca, viaggiare”.
A proposito di libri, tua moglie Sonia Bruganelli da qualche tempo sta conducendo un programma di incontri letterari su Tim Vision, “I libri di Sonia”. Le hai dato qualche consiglio? Cosa ti piace di lei come intervistatrice?
“Non le ho dato alcun consiglio. Sonia legge tantissimo e ha un’intelligenza frizzante che le permette di andare oltre le righe che legge. Questo rende le interviste che fa diverse da quelle di chi le fa per mestiere. Mia moglie le fa con gioia e la gioia sul mestiere vince sempre 20 a zero”.