A Sanremo Checco Zalone e la favola LGBTQI+ che diverte e divide

Sul palco dell'Ariston è salito il comico pugliese che per condannare l'omofobia ha raccontato una favola "scorretta" tra calabresi e persone transessuali brasiliane. Il suo intervento ha diviso il pubblico e i social

Checco Zalone sul palco dell'Ariston (Ansa)
Checco Zalone sul palco dell'Ariston (Ansa)
di Giuseppe Fantasia

Seconda serata, ieri, in diretta da Sanremo. Tutto regolare sul palco dell’Ariston: dagli immancabili fiori alle paillettes sulla giacca del conduttore Amadeus, una valletta co-conduttrice, Lorena Cesarini, che cita Tahar Ben Jelloun e le canzoni. E poi lui: Checco Zalone, all’anagrafe Luca Pasquale Medici, che diverte e divide come solo lui sa fare, che irrompe con una favola LGBTQI+ corrodendo un’atmosfera sin troppo rarefatta - ma comunque piacevole - che si può respirare solo al festival della canzone italiana per eccellenza, edizione numero 72. Amadeus annuncia il suo arrivo e si addentra tra la platea per cercarlo, ma non lo trova. Poi è la voce del comico pugliese a chiamarlo. Il conduttore alza lo sguardo e Zalone è tra il pubblico della galleria. "Umiltà, Amadeus", ammonisce lui, "questa è gente vera, io amo il popolino". Poi, sbagliando strada, si dirige verso il palco: "Faccio lo stupido ma sono un ragazzo di provincia".

E una volta sul palco, finge di commuoversi: "Mi commuovo, visto che piangono tutti... Mi sento un Maneskin. È emozionante essere qua. Ma voglio dire, me lo merito. È il minimo che mi potesse dare la vita". "Grazie a nome degli italiani, ci fai sentire tutti geni", dice poi ad Amadeus, gli fa i complimenti ("bellissima l'idea di Ornella Muti doppiata da Maria De Filippi"), ricordandogli la gaffe durante la sua prima conduzione quando definì Francesca Sofia Novello, fidanzata di Valentino Rossi, donna in grado di fare un "passo indietro". "C'è un maschilismo endemico ma stiamo cambiando, i pregiudizi non si scrostano con un detersivo", dice il comico rivolto al conduttore, "non siamo mica tutti donne". Per poi inchiodarlo: "Non lo hai detto ma lo hai pensato".

La favola per condannare l’omofobia

E poi ancora show, con una favola Lgbtq molto scorretta, come è nel suo stile, ambientata in Calabria, regione di cui parla benissimo, per poi concludere con uno spiazzante "ne ho detto bene, così non possono offendersi questi terroni". La fiaba inizia con il mitico "c'era una volta", ambientata "in un calabro villaggio", alternando la lettura del testo da parte di Amadeus con i dialoghi che Zalone rende con forti accenti calabrese e 'brasileiro' dei personaggi coinvolti. Protagonista è Oreste, un trans brasiliano che viene invitato al ballo a corte. Il colpo di fulmine con il principe è immediato, ma il re omofobo non vuole: peccato però che il sovrano sia un "cliente affezionato" di Oreste. "Stiamo facendo servizio pubblico", precisa Zalone. Il finale è fra un vecchio professore di greco antico e una trans brasiliana, che alla fine sentenzia: "Di me si sa che io sono metà e metà, ma tu sei un coglione intero".

L’omaggio a Mia Martini con una versione dissacrante di “Almeno tu nell’Universo” 

Zalone omaggia anche Mia Martini proponendo una sua versione dissacrante di "Almeno tu nell'Universo" cantata con accento brasiliano. "Sai la gente colta, è la prima che si volta. Il professore di greco antico, la mattina spiega, la sera si piega". Cita anche Lapo Elkann, e il volto di Amadeus si corruga. È divertito ma anche preoccupato. "Il foro di competenza non è il mio ma quello di Amadeus. Ciao, buon licenziamento", sono le sue ultime parole.

Più tardi, seconda scenetta del comico pugliese che si presenta nei panni di un trapper un poco in là con gli anni. E e a rivelarlo è già il nome scelto: Ràgadi; con evidenti sofferenze, sin dalla seduta al pianoforte su un cuscino a ciambella.

Le reazioni degli attivisti LGBTQI+ e il tweet di Adinolfi e Bartezzaghi

"Prepariamo i comunicati stampa contro questo scempio". È il commento di Monica Romano, consigliera comunale di Milano e attivista Lgbtqi+. Dopo la performance di Zalone sono stati centinaia i commenti di questo tipo che si possono trovare su Twitter. L’idea era quella di mettere in scena una delle tante storie dissacranti a cui ci ha abituato il comico pugliese. Le critiche arrivano da voci diverse, fra queste anche quella di Jonathan Bazzi: "Che assenza totale di talento, oltre che di intelligenza emotiva. Non vedevo Zalone dalla parodia di Carmen Consoli/zio Santuzzo, e ora mi sono ricordato perché". "Caro Zalone – scrive nelle sue storie l’avvocato Cathy La Torre. “La favola della trans prostituta non fa ridere tutte quelle donne, trans e non solo, costrette alla prostituzione per sopravvivere. In un Paese dove fino agli anni ’70 le donne trans le mandavano al confino. Non i mafiosi o i fascisti, ma le donne trans. Perché non racconti questo dal palco di Sanremo?".

I complimenti, invece, son arrivati da tanti utenti, tra cui Mario Adinolfi: "Sempre grande Checco Zalone, è l’Alberto Sordi del XXI secolo italiano. La storia del nostro Paese sarà raccontata dai suoi film, dai suoi sketch e anche da questo passaggio a Sanremo nel 2022. Bravo, intelligente, non conformista, coraggioso come un artista deve saper essere". "La comicità si basa su stereotipi e li deforma, da che mondo è mondo", ha commentato invece Stefano Bartezzaghi. "Il pagliaccio è un adulto che però si mostra goffo, commette strafalcioni e pasticci peggio di un bambino. I bambini ridono. Non è che si offendono perché il fatto che commettano strafalcioni e pasticci è uno stereotipo su cui è inaccettabile scherzare".

"Viviamo però in un mondo in cui pronunciare una certa parola o non pronunciarla è già schierarsi", ha aggiunto. "Così il semplice meccanismo della comicità manda in crisi il sistema, perché oggi mettere in scena lo stereotipo significa già aderirvi, anzi promuoverlo. Significa: cioè viene interpretato come se. Il senso comune viene così promosso a buon senso e il fatto platealmente evidente che lo scopo della messinscena è quello di riderci sopra non solo non scongiura l'interpretazione drammatizzante, ma la rafforza, diventa un aggravio. Chiusura del cerchio: il comico viene esaltato da chi condivide lo stereotipo anziché da chi dovrebbe godere della sua messa in ridicolo". Dov’è il senso del ridicolo, si è chiesto il giornalista e scrittore? Il problema di Zalone "non è tanto l'incomprensione degli offesi dalla pagliacciata". "Il suo problema è l'applauso di Mario Adinolfi. Ma, giudicando a occhio, Zalone saprà ridere sopra anche a quello”.