Gli anni sono 72 e il tempo delle confessioni senza filtri va a prolungarsi. Vasco Rossi ha già parlato in altre occasioni del suo privato e degli angoli bui della sua vita. In una recente intervista al Corriere della Sera ha aggiunto nuovi dettagli, parlando di sé come di un "supervissuto".
A cominciare dal suo nome, Vasco: "È il nome del compagno di prigionia di mio padre che gli salvò la vita. Gli americani bombardarono il lager, lui cadde in una buca, questo Vasco lo tirò su di peso e papà gli disse: se un giorno avrò un figlio, lo chiamerò come te. Mio padre teneva un diario. Tornò dal lager che pesava 35 chili. Si chiamava Giovanni Carlo e faceva il camionista. Morì di fatica a 56 anni".
Fino al rapporto sempre complicato con le droghe, per cui è stato a lungo trattato come un appestato e un pessimo esempio generazionale: "Potevo stare tre giorni senza dormire, grazie alle anfetamine. Poi ho capito che le anfetamine sono pericolose. Ho sperimentato la mia psiche, sono entrato nella mia mente, ho fatto un viaggio dentro la mia coscienza. Le sostanze stupefacenti le ho provate quasi tutte, tranne l’eroina". Quando poi fu arrestato e messo in isolamento, dovette ripulirsi: "Giorni infiniti, minuti lunghissimi. Non passava mai. Cercavo di dormire, mi svegliavo credendo di aver fatto un brutto sogno. Dopo la galera sono tornato a casa, a Zocca, e non ne sono uscito per otto mesi. Senza anfetamine non riuscivo ad alzarmi dal letto. E in tanti erano contenti. Sono stato molto odiato. Dai perbenisti, dai benpensanti. Mi sputavano addosso per strada. Ero il drogato. Il capro espiatorio dei primi Anni 80".
Foto da Instagram