Sei nell'anima. Non è solo il titolo di uno dei brani più amati di Gianna Nannini, ma è anche quello del suo nuovo album uscito il 22 marzo e del film sui primi 30 anni della sua vita e carriera che dal 2 maggio arriva su Netflix e altre piattaforme. A interpretare la Nannini nel film è Letizia Toni. Ma veniamo alla vera Gianna che a 70 anni (nel 2024) parla di sé a ruota libera, senza paura di essere controcorrente o politicamente scorretta.
Dice Gianna Nannini al Corriere della Sera: "Io canto di essere nata nel 1983 (che è anche il nome di una delle canzoni nel nuovo album, ndr) sono nata senza genere". Aveva 30 anni, cosa ha portato a questo momento di grande scoperta di sé? "Non appartengo a una categoria. Quando sei bambino non capisci le differenze — bianco-nero, uomo-donna — che la società amplifica per creare divari. Nell’adolescenza ho vissuto altre difficoltà, non mi sono mai identificata", spiega Gianna Nannini, "Era il periodo di Fotoromanza: ho perso me stessa. Ho sperimentato la vera follia, il non capire chi sei, il capire che se non esci da lì è finita... È stato difficile ma ci sono riuscita: la mia mente ha fatto tutto. Quindi sono nata nel 1983 e se qualcuno non ci crede peggio per lui".
Non si parla però di depressione o droghe, e la Nannini nell'intervista lo chiarisce: "So che si pensa a quello, ma no. Non so cosa sia accaduto quella volta nello studio di registrazione di Plank e lui ormai è morto e non lo può raccontare. Era un momento in cui stavo facendo il disco, ero nel cast di Sogno di una notte d’estate di Salvatores... non dormivo la notte. È stato un tilt cerebrale". Da lì nasce la Gianna Nannini di oggi, la presa di coscienza di se stessa.
Tempo fa su Vanity Fair era stata ancora più esplicita: "Ami gli uomini? Ami le donne? Sempre le stesse domande, davanti alle quali uno vorrebbe dire soltanto: “Ma te li fai i cazzi tuoi?”. Eppure sarebbe semplice: a me le divisioni, a partire da quelle di genere, non mi hanno mai interessato granché. Ho sempre amato uomini e donne e soprattutto non ho mai avuto freni nel sentire e seguire quello che volevo. Le ho sempre rifiutate, le definizioni. Al termine “coming out”, che ghettizza, ho sempre preferito la parola libertà. Alla parola gay, che ti pretenderebbe felice e ormai non usano più neanche in America quando indicono un pride, preferisco frocio. Chi è libero nel linguaggio è libero dentro».
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