"The Fabelmans": il ritorno di Spielberg è un gioiello e comincia la sua corsa verso gli Oscar
Dal 22 dicembre in tutti i cinema, il grande regista da vita ad un alter ego che scopre la magia del cinema e ne fa la sua grande arma di riscatto
Imperdibile, emozionante, al punto che la suggestione emotiva di un (futuro) grande Maestro del grande schermo, si trasforma nel ricordo personale e intimo di ognuno. Spielberg, a 76 anni, compie l’ennesima impresa creativa. Il suo album dei ricordi prende allora forma in un ritratto semi-autobiografico, pieno di grazia, ironia, commozione, amore per il cinema, formazione, educazione alle passioni e alla vita. The Fabelmans (dal 22 dicembre in sala), il nuovo progetto del regista, tra gli altri, di E.T (40 anni quest’anno), Schindler’s List e dei primi Indiana Jones, e compie l’ennesimo miracolo narrativo.
Nella "scatola magica"
Lo fa ora attraversando una porzione della sua infanzia e adolescenza, quando, da agazzino, scoprì il potere di quella scatola magica e di una forza visiva affascinante. Per Sammy, il protagonista-alter ego di Spielberg (interpretato dall’intenso e giovane Gabriel LaBelle, 20 anni) non è una semplice passione, ma una vocazione vera, maturata guardando insieme ai genitori a soli sei anni Il più grande spettacolo del mondo diretto da Cecil B. DeMille. Il film della svolta, di cui ne rimarrà affascinato, al punto da voler ricrearne la famosa scena del treno. Uno schianto perfetto da reinventare, che si trasforma nell'occasione di tenere per la prima volta il controllo su qualcosa. Motore, ciak, azione! Sarà il debutto, a cavallo tra sogni e vita, tra realtà e immaginazione.
Il remake sfortunato
A circa un anno dal remake di West Side Story, Spielberg trasfigura adesso sullo schermo una porzione cruciale della propria esistenza, famigliare (di origini ebraiche), di crescita, incasellando il tutto tra il 1952 e il 1964. Anni di formazione nei quali, (in)consapevole di ciò che diventerà, inizia un percorso, supportato dai genitori e le tre sorelle, i primi fan, ma anche le persone con le quali avrà rapporti contrastanti. Da un lato il padre Burt, interpretato da Paul Dano (il vero si chiamava Arnold), ingegnere elettronico, rigoroso e paziente, dall'altro la madre Mitzi (si chiamava Leah), pianista concertista, più sognatrice e vicina a lui forse come spirito, eppure profondamente insoddisfatta, come si vedrà, da un matrimonio che sembra non farla più vibrare. Sam-Spielberg nel frattempo sperimenta, cresce, impara la dura verità delle immagini, anche quando riprenderà e scoprirà proprio la mamma, attratta da un amico per cui nutre un sentimento. Ogni cosa crolla. Dall'Arizona si sposta a Los Angeles, accantona la macchina da presa, sopravvive all'inserimento in una scuola “di giganti e atleti”, preda del bullismo e di un primo innamoramento per una coetanea “ossessionata” da Gesù. Ma il cinema è lì, lo (ri)salva, aprendo nuovamente l’autostrada verso la maturità, fino ad un incontro-rivelatore con uno dei suoi miti, John Ford (occhio al cameo di David Lynch).
Se il cinema centra il cuore e avvicina alla verità
Ma in questa autobiografia giovanile, che molto probabilmente farà incetta di nomination ai prossimi Oscar, a partire dal cast, grazie a una splendida Michelle Williams, c'è però anche un aspetto universale che fa breccia nelle storie di ognuno. Il cinema non è solo lo strumento per guardare la verità, mostrandola, nascondendola, qui diventa l'ingranaggio per mitigare e condividere rabbie e rimpianti, frustrazioni, illusioni, sogni, “orizzonti”. C’è la voglia di riscatto e migliorarsi, ma è anche uno spaccato che parla di affetti e contrasti, necessità, di angolazioni e punti di vista, con un approccio quasi ‘pirandelliano’, nel quale pensiamo di conoscerci davvero (così la nostra identità), ma non sappiamo mai in profondità come ci vedono invece gli altri. Spielberg non tradisce mai e ci fa (l’ulteriore) regalo più bello.