Habemus (nuovamente) Moretti. Ecco perché "Il sol dell’avvenire" è imperdibile
Il regista torna in sala dal 20 aprile con l'ultima sua creatura cinematografica, forse la più divertente del repertorio
Il “Caro diario” generazionale di Nanni Moretti, quello ricco di ‘Palombelle rosse’, messe finite, madri, papi in crisi, piani, ‘Caimaniì, ‘Sogni d’oro’, di Vespe d’annata (oggi sostituite dai monopattini), che da ora si impreziosisce ulteriormente attraverso una creatura cinematografica, l’ultima in ordine cronologico, forse la summa più divertente e commovente del proprio repertorio di regista. Il sol dell’avvenire (in sala dal 20 aprile, distribuito da 01), in concorso al prossimo Festival di Cannes (vinse la Palma d’Oro nel 2001 grazie a La stanza del figlio, ndr), va in una direzione ben precisa, anzi ne prende diverse, regalandoci un viaggio negli orizzonti, linguaggi, ossessioni, tic, idiosincrasie del pensiero “morettiano”, che qui sanno però sconfinare, evolversi, e citano molto altro. Il trailer c’aveva già dato un assaggio di cosa poteva essere questo lavoro: un film nel film, come fece Fellini in 8 ½, ovvero quello di un regista, Giovanni (lo stesso Moretti), intento a completare un’opera ambientata qui nel 1956, negli stessi giorni dell’invasione sovietica a Budapest, con (in più) relativa “invasione” di un circo ungherese, il Budavari, accolto dal PCI.
Qua il protagonista è un giornalista dell’Unità (Silvio Orlando), Ennio, pure segretario di sezione, fedele a Togliatti, e di sua moglie Vera (la bravissima Borbora Bobulova) meno schierata e più interessata a ciò che le accade intorno. È un primo tassello temporale. Già perché fuori dal set, Giovanni, deve risolvere e pensare, poiché la pellicola non funziona, colpa anche del produttore francese (Mathieu Amalric), di una sceneggiatura che probabilmente avrebbe bisogno di miglior supporto, ma purtroppo non esplode, lo dicono alcuni dirigenti di Netflix, in una delle scene più spassose, il richiamo è al Moretti contro le poco amate piattaforme streaming. C’è anche il rapporto (in crisi) con la moglie produttrice (Margherita Buy), con la figlia (Valentina Romani), innamorata di un ambasciatore polacco, dell’età che (forse) avanza, di una forma di nostalgia, dell tentativo di realizzare un film “sovversivo”, una delle battute che si sentono dire da Amalric, che in effetti, ad un primo sguardo, si rivela davvero così.
Perché Il sol dell’avvenire, i francesi lo hanno tradotto nella locandina, Vers un avenir radieux (Verso un avvenire radioso), un vecchio slogan della sinistra francese, mescola ironia e malinconia, presente e politica, ci parla di amore, rivoluzione, passione per il cinema, in cui Moretti sovverte la storia (un po’ alla Tarantino), cita il genio ‘felliniano’ (c’è anche La dolce vita e L’intervista), Jacques Demy (Lola - Donna di vita), giocando in ogni caso una partita diversa da quelle messe in scena prima. Questo film (nel film) diventa un musical d’un tratto, in cui si sentono lungo il percorso i brani di Franco Battiato (Vorrei vederti danzare), Tenco (Lontano lontano), Aretha Franklin (Think), in cui ci da l’impressione di una storia che non è solo scritta da lui e e dalle sceneggiatrici, ma nella quale ha bisogno ulteriormente di ritrovarsi. Nessun testamento artistico sia chiaro, semmai un approdo sicuro, dove il Nanni nazionale pare però davvero fare i conti con la propria natura d’autore, che sa e conosce il meccanismo, che lo celebra, che fa di tutto per avvicinarsi/ci ai personaggi, ad una gioventù pronta a dire la sua, ad un viaggio in cui elefanti e bandiere rosse si mescolano in un brindisi finale, pieno di speranza e futuro. È una chiusura, ma è anche una conseguente riapertura del cerchio, allegorico quanto concreto, spiazzante e brillante, accorato, intriso della giusta dose di commozione e forza. Azione! Nanni è tornato: Habemus (nuovamente) un grande Moretti.