Samuele Bersani si toglie macigni dalle scarpe: “Si credono chissà chi, la loro caratteristica è la totale mancanza di umiltà”
L'autore di "Giudizi universali" e di tanti altri capolavori parla della totale mancanza di umiltà di tanti giovani artisti: "Si definiscono autori. Poi, per curiosità, vai a vedere chi firma una canzone di tre minuti e vedi otto-nove nomi, fra cui il loro. Ecco, alcuni dei giovani “autori” sono questa roba qui"


Spiega che le canzoni non andrebbero spiegate, Samuele Bersani. Ed è assolutamente così, soprattutto per chi come lui è artigiano di ogni parola, di ogni metafora, un cesellatore dell’uso di ogni vocabolo, mai casuale, mai azzardato, mai per andare dietro a una rima.
Anche perché, se ci fosse un codice penale musicale del rispetto della metrica, Samuele finirebbe direttamente all’ergastolo, dialettico, naturalmente. Però, alla fine, un po’ di canzoni, quelle nuove, quelle di “Cinema Samuele”, le spiega e ci ride anche sopra, a volte autoironizzando sulla sua logorrea che trasforma canzoni di tre minuti in racconti linawermulleriani di parole e sorride: “Poi c’è Vasco che spiega le sue canzoni citando parola per parola il testo delle stesse canzoni, senza aggiungere una parola. Un mito”.
Insomma, Bersani è uno che parla, parla tantissimo durante i concerti e in particolare ha voglia di farlo in questo tour: “Vedete, a me questo disco piace davvero moltissimo, ma sono talmente sfigato che è la prima volta che lo canto dal vivo perché è uscito durante il secondo lockdown e abbiamo già dovuto interrompere due volte questo tour”.
Insomma, è come se il disco fosse nuovissimo e del tutto inedito, anche se ha un anno e mezzo. E ne escono racconti bellissimi, come una canzone splendida sul duello fra passato e presente nato da una relazione finita “e da tanti sms a una persona che non se li meritava” e, come sempre, come ogni volta che Samuele ha raccontato la fine di un amore, le parole sono perfette, “anche se non volevo fare un disco triste”. Bersani, con la sua educazione che non gli fa fare nomi, ma gli identikit sono di fronte a tutti noi e la sua umanità che fa diventare una gioia ogni incontro con lui, racconta un’intervista immaginaria ma non troppo di un giornalista che viene licenziato per aver scritto ciò che pensava su un artista, ma che gli merita la cacciata dalla sua rivista: “Noi abbiamo bisogno di quello lì. Tu sei licenziato”.
La storia è in parte di fantasia e in parte vera, ma soprattutto è l’occasione per raccontare la totale mancanza di umiltà di tanti giovani artisti, spesso rigorosamente per autocertificazione: “Penso alla ritrosia di Fabrizio De Andrè e vedo gente giovanissima che si crede chissà chi ed è proprio la caratteristica della loro generazione, la totale mancanza di umiltà, senza il riconoscimento dell’esperienza e della capacità di insegnare di chi è più grande. Loro no, loro nascono già imparati”. “E’ una generazione che ha un indice di attenzione istantaneo: quando metto un video su Instagram gli insights mi dicono che spesso staccano dopo tre secondi”.
Mica finita, perché Samuele si toglie macigni dalle scarpe: “Mi piace la parola cantautore, ma vivo male quando mi presentano come “esponente della canzone d’autore” perché sembra quasi il manifesto di chi scrive canzoni per appesantire la vita agli altri. Loro no, loro si definiscono autori. Poi, per curiosità, vai a vedere chi firma una canzone di tre minuti e vedi otto-nove nomi, fra cui il loro. Ecco, alcuni dei giovani “autori” sono questa roba qui”.
Più passano gli anni, più Samuele è emozionato quando canta e parla e non ha paura di raccontarlo: “Crescendo, anziché diminuire, l’emozione di quando sono sul palco aumenta sempre più”. E tutto questo è testimoniato dal leggio che lo accompagna sempre. Nonostante sia l’autore di tutto ciò che canta – ad eccezione di “Le mie parole” scritta dal suo fraterno amico Gino De Crescenzo-Pacifico con cui ha il cuore e la testa sintonizzata sulla stessa lunghezza d’onda – Bersani ancora si dimentica le parole delle sue canzoni e quindi ha bisogno di questo leggio che è una sorta di coperta di Linus: “Ma non crediate che i miei colleghi siano diversi. Hanno il gobbo elettronico in schermi disseminati ai vari lati del palco. Io che sono assolutamente poco mobile tengo il leggio qui in mezzo”.
E ci gioca, Samuele, a smontare il superomismo dell’artista, ad esempio quando chiede di accendere la lucetta dei cellulari quando canta “Replay”: “Così domani, sui social, tutti diranno: “Accidenti, quanta gente e quanta partecipazione per Bersani”. Ma tranquilli, fanno tutti così, solo che io lo chiedo prima e lo dichiaro”.
Scherzi e battute a parte, però, la partecipazione è davvero di una sorta di setta che ama Samuele sopra ogni cosa: c’è chi conosce le sue canzoni scritte quando era bambino e chi lo segue da quando ha iniziato a cantare trent’anni fa, quando Lucio Dalla sentì quel capolavoro che è “Il mostro” e lo volle come ospite in un suo disco e in un suo tour: “Vedere che siamo cresciuti insieme è un’emozione unica. Poi, certo, meno male che arrivano anche i vostri figli e comunque anche nuove generazioni che mi scoprono indipendentemente dai genitori, altrimenti i prossimi concerti li facciamo tutti col catetere”.
Il Politeama Genovese, che ospita il concerto con l’organizzazione di Duemilagrandieventi e la squadra del presidente nazionale degli organizzatori di concerti, Assomusica, Vincenzo Spera, da Paola Donati a Nicolò Sasso, mantecato dai padroni di casa da Danilo Staiti a Lara Ziggiotto, è pieno, con una predominanza femminile, mondo la cui sensibilità è fotografata perfettamente dai testi di Samuele. E la ragazza seduta al posto 26 della fila 11, fasciata in uno splendido vestito con i colori dell’arcobaleno, è di una bellezza nello sguardo dietro la mascherina, che sorridono, nel look, nella gentilezza che è quasi un riassunto della discografia di Bersani, che conosce a memoria.
Ecco, le mascherine. Samuele quasi si scusa con il pubblico: “Mi fa male vedervi cantare con la mascherina”, ma tutto questo non limita la passione per le canzoni: come detto “Il mostro” è uno splendido racconto dei freak, come un albo di Dylan Dog, delle storie più belle scritte da Tiziano Sclavi, e poi c’è tantissimo: tutto “Cinema Bersani”, da “Harakiri” a “Le Abbagnale” e “Distopici (ti sto vicino)”, ma anche “Scrutatore non votante”, “Spaccacuore”, “Replay”, “En e Xanax”, “Cattiva”, per l’appunto “Le mie parole”, “Coccodrilli” in una versione quasi sudamericana e velocissima, “Chicco e Spillo”, come sempre emozionante e mai uguale a se stessa, “Il Pescatore di asterischi” e l’ironia su “Ciao ciao” della Rappresentante di Lista: “Potremmo fare un mix insieme…E infatti parte “Freak” che con il suo “Ciao ciao belle tettine” anticipava e sdoganava il “Ciao ciao” quasi trent’anni fa.
E poco dopo, nel 1997, è nato quel capolavoro assoluto che è “Giudizi universali”, “e io, spiega Bersani, è dal 1997 che spiego che il ritornello dice “Potrei ma non voglio”, ma c’è sempre qualcuno che canta “Vorrei ma non posso”. Mi seguirà sempre questa cosa”.