Tullio De Piscopo: "Il tumore, l'idea dell'eutanasia e cosa mi ha ridato la vita e il ritmo giusto"
Un vulcano fra i tamburi, e per moltissimi il simbolo della batteria in Italia. Decine di album e collaborazioni internazionali, il legame con Pino Daniele e la sfida più difficile. Vinta
"Ciao, sono Tullio Batteria De Piscopo. Come stai? Sì cuntent'?". L'energia è quella di sempre, vulcanica. Dentro c'è una vita vissuta a trecento all'ora, anzi, a trecento di metronomo, ma anche meno quando serve. E sempre tra i tamburi, a dettare ritmi, a cucirli con sapienza artigianale, a far suonare la vita. Tullio De Piscopo ora è in tour a celebrare i 40 anni di Stop Bajon, quel pezzo incredibile, costruito su ritmo dispari ma suonato in modo pari così da diventare un grande successo radiofonico. Ma nel concerto c'è molto altro, c'è tutta la storia di questo artista, protagonista anche del cartellone del festival Forma e Poesia nel Jazz, in svolgimento a Cagliari fino al 21 settembre. Tiscali è media partner, qui il programma completo.
Tullio, partiamo da Stop Bajon? Come siete riusciti a rendere ballabile e radiofonico un pezzo così sofisticato? Ancora oggi campionato e citato ovunque?
"Quelle sono le magie di Tullio e di Pino Daniele, con Don Cherry alla tromba, con il grande e compianto Joe Amoruso al piano elettrico, in un album in cui c'erano ospiti come Lucio Dalla, Famadou Don Moye dell'Art Ensemble of Chicago. E ricordo lo splendido basso elettrico di Rino Zurzolo. Quando dentro la musica c'è la qualità vera, la passione ed il sorriso, nascono cose come quelle, destinate a durare".
Cosa accade nel concerto celebrativo che stai portando in tour?
"C'è un po' tutto il mio mondo. La mia carriera solista e gli omaggi a Pino Daniele, ma anche gli anni con Piazzolla, Quincy Jones e molti altri, con dentro il jazz e blues, porteremo sul palco brani di Charlie Mingus ed Elvin Jones. Con me sul palco ci sono Jean Luc Silvestri alle chitarre, Stefano Gajon al sax e alle tastiere, Alessandro Simenoni al basso, Daniele Lavelli al piano e tastiere e Rosario di Giorgio alle percussioni. Io suono una batteria Drum Sound fatta apposta per me, ma continuo ad amare anche la DW".
Dici spesso che sta venendo a mancare il sorriso, in tutte le cose della vita, e quindi anche nella musica. Perché?
"Perché fingiamo di andare avanrti ma stiamo tornando indietro. Mo questa Intelligenza Artificiale, ma a chi vuò rompere 'o c..z? Io ho ascoltato molti brani del nuovo Sanremo, a primo ascolto funzionano bene ma si sente che è roba fatta con l'algoritmo, le stesse note, le stesse melodie vocali, i versi di facile presa. Ma cosa rimarrà? Io ho molti dubbi, capisco che gli artisti di oggi cedono al tutto e subito, forse non è nemmeno colpa loro. Ma per me musica vuol dire cuore, passione, sincerità verso il pubblico. E ne vedo e ascolto in giro pochissima. Gente che mi dice: maestro, potresti fare le parti di batteria per questo o quell'altro album? Poi me la metti in una chiavetta? La mia batteria dentro una chiavetta non ci sta. Io non ci sto".
Ci sono batteristi che negli ultimi anni ti hanno colpito? Che ne pensi dei nomi che oggi vanno fortissimo, come Nate Sith o Eric Harland?
"Ma sono neri, no? E allora tutto a posto. Capisci bene quel che dico, quando si parla di portare il ritmo".
Due o tre momenti della tua carriera che ti porti appresso con particolare gioia?
"Sono molti, con tantissimi grandi artisti con cui ho avuto l'opportunità di lavorare. Ma sai cosa non voglio scordare? Il modo di fare le cose: la passione, la determinazione, nonostante i periodi duri, quando spendevo più di quel che guadagnavo solo per portare lo strumento con me fra un palco e l'altro, una gavetta tosta, fatta di sacrificio, rispetto per gli impegni presi, occhi di tigre per andare a prendersi quel che si desiderava. I giovani musicisti, cresciuti a video social e talent tv, cosa sanno di questa dimensione? Hanno fretta, e rischiano di maltrattare la musica. Quando insegno ai miei allievi non mi limito mai alla sola tecnica sulla batteria, ma mi soffermo molto su tutti questi altri aspetti".
Come mai, nonostante Pino Daniele abbia poi suonato con i migliori strumentisti internazionali, tutti continuano a ricordare la mitica band degli anni Ottanta, con te, Toni Esposito, Joe Amoruso, Rino Zurzolo e James Senese?
"Perché c'era dentro una passiona, una voglia, una grinta, e un humus musicale comune, tutto mescolato assieme in modo esplosivo. Dovete sapere che noi arrivavamo negli stadi dopo lunghi viaggi in bus, salivamo sul palco e cominciavano a improvvisare per ore mentre i tecnici aggiustavano i suoni. Scendevamo dal palco per cenrare, e poi via col concerto. Eravamo veri, non so se mi spiego. E questo arrivava alla gente, questo continua ad arrivare. Mica per caso".
Nella tua autobiografia hai scritto con molta sincerità e onestà della malattia che ti ha colpito, una prova durissima.
"Dico la verità: io avevo già pensato all'eutanasia, ero pronto ad andare in Svizzera e finire così, non volevo disturbare nessuno. Sai, a 66 anni uno si aspetta la tranquillità, godersi la famiglia, i nipotini, il piacere di scrivere un nuovo metodo di batteria e lasciarlo ai giovani. E invece arriva il cancro, quel maledetto. Non ci sono parole per descrivere un salto nel vuoto simile. Come ce l'ho fatta? I medici dicevano che non c'era niente da fare. Io ero pronto a tutto, poi a un certo punto mi sono detto: no, non mollo. E quando è uscita dal centro medico mia figlia, io le ho detto: portami a vedere mio nipotino di due anni. Da lì è iniziata la mia guarigione. Ma è stato importante avere persone care attorno, l'amore della famiglia, la musica e Pino Daniele. Sempre vicino a me in quei momenti".
Torniamo alla musica e ai nuovi talenti. Che mi dici di loro?
"Che ce ne sono di bravissimi, ma con un problema: non fanno che imitare artisti che già esistono all'estero. Continuiamo ad essere provinciali, a considerarci meno degli stranieri. E' un vero peccato. Hai qualcosa da dire di tuo, di personale? Fallo, sii vero, sii onesto. Il pubblico te lo riconoscerà e poi arriveranno anche i soldi".
In chiusura: quali batteristi consideri tuoi maestri?
"Max Roach, Elvin Jones, Tony Williams, Philly Joe Jones, Kenny Clarke. Hai notato che sono tutti neri? Come mai? Io l'avevo già detto, guagliù".