Pedrini: "Forse sarà il mio ultimo tour rock. Ma dal mio cuore operato sette volte esce ancora musica"
Il fondatore dei Timoria e poi solista porta in tour sia le letture musicali dall'autobiografia Cane sciolto sia l'arte del fare canzone all'Accademia del pop
Un Cane sciolto, come si descrive fin dal titolo della sua autobiografia. Con tutti i cimeli della sua vita sempre on the road sulla pelle, ferite comprese. Le più gravi, quelle al cuore, arrivato ai sette interventi chirurgici per tenerlo attivo e permettere ad Omar Pedrini di continuare a fare quello che più ama: suonare, cantare, parlare col pubblico, raccontare 35 anni fra dischi e palchi, dai Timoria alla sua avventura solistica. Pedrini lo farà anche il 3 e 4 maggio al Teatro Massimo di Cagliari, dove è atteso dal recital Cane sciolto (il 3 maggio alle 20:30) e dalla masterclass Musica rock, pop e le sue contaminazioni artistiche (sabato 4 maggio dalle 10:30 alle 13 sempre al Massimo). Questa intervista è anche un modo di fare i conti con se stesso.
Omar, il cuore a pezzi, sempre quello, chiede nuova manutenzione. Hai detto che questo potrebbe essere il tuo ultimo tour rock. E' così?
"Molto probabilmente sarà l'ultimo giro di concerti in cui posso ancora espormi alla fatica e ai volumi del concerto rock. La mia condizione fisica non me lo permetterà oltre, sono atteso da un nuovo intervento. Ma finché potrò farlo continuerò a cantare e suonare di fronte a un pubblico, in una dimensione più contenuta e teatrale come quella dei due eventi che sto per affrontare al Teatro Massimo. Ne approfitto per andare nei posti che ho più cari, salutare il pubblico e gli amici. Poi con l'aiuto della scienza e di Dio vorrei ricominciare a teatro".
Quello che stai facendo, nell'ambito dell'Accademia del pop che da mesi anima il Teatro Massimo, è raccontare tutto il lavoro che c'è dentro una canzone. In un Paese come il nostro in cui niente viene insegnato del lavoro sulla musica e si pensa che le canzoni piovano dal cielo senza sforzo.
"Dici bene, è proprio un problema italiano. Abbiamo le istituzioni che si concentrano di più nell'insegnare storia e tecniche della musica classica e colta, e che ignorano il pop e non si capisce perché. Va un po' meglio agli amici del jazz, ma anche loro fanno fatica a trovare spazi e considerazione. Quando affronto la masterclass cerco da una parte di rispondere a tutte le domande del pubblico, e dall'altra di mostrare quanta cultura e lavoro c'è dentro un pezzo di Dylan, di Coen, di Lou Reed, dei Clash. E' una musica ascoltata praticamente da tutti ed è molto più colta di quanto la si consideri. Questo vale per il rock, il pop ha un'anima nobile ma oggi i ragazzini ascoltano brani tutti uguali che parlano di ballare in discoteca, di successo facile, di soldi. Specchietti per le allodole".
Non ci sono più gli autori di una volta?
"Non solo, ormai ascoltiamo brani che per essere completati hanno bisogno di sei-sette autori che sviluppano un pezzettino alla volta e gruppi di editori che si spartiscono un pezzo da tre minuti. Con queste dinamiche come fanno un ragazzo o una ragazza a innamorarsi di chi scrive le canzoni? Ecco perché uso le masterclass per portare la gente dentro l'arte dello scrivere rock e pop".
Ma nuovi autori come Calcutta, Brunori e Fulminacci non si possono considerare i nipotini di De André, Dalla e De Gregori?
"Guarda, citi tre artisti che a me piacciono tanto. Ma non stiamo mica parlando di gente che è in movimento da cinque minuti eh? Sono in giro a fare la loro cosa da anni, Brunori è uno che va per i 50 anni, più vicino a me e a te che ai pischelli di 20 anni".
Allora il racconto della realtà più vicina ai giovanissimi viene magari dalla trap che adesso va fortissimo?
"E' sempre questione di chi cucina. In un ristorante c'è chi cucina con l'attenzione alla qualità e alla tradizione e chi si abbuffa di junk food. Nel caso della trap, io la considero l'anticamera dell'uso industriale dell'Intelligenza Artificiale applicata alla musica. Tutti hanno potuto cantare, anche quelli incapaci, perché con l'uso di computer, di software che intonano lo stonato e vocoder vari, è arrivato questo diluvio di pezzi e pezzulli pieni di Autotune. Pare di ascoltare canzoni costruite da una macchina. Quel che non mi piace è l'ostentare lo spaccio, la violenza, il vizio nei testi. Per carità, queste cose c'erano nel rock e nel punk ma c'è una realtà più ricca e complessa da raccontare. Della trap mi piace l'approccio molto diretto, che la avvicina a certe cose del punk".
La tua storia di musicista è anche la storia dei Timoria, una band che ha lasciato un gran segno e che è finita non proprio del migliore dei modi. C'è qualcosa di cui ti penti?
"Ma sai, io nella mia biografia io ho deciso di mettere tutto. I successi e le gioie ma anche gli errori, le relazioni finite a pezzi, le donne perse, l'essere cresciuto nella periferia di Brescia, l'aver fatto parte degli ultras della Curva Nord con i relativi scontri, i ferri chiurgici dentro il cuore con tutti i dolori del caso. Nel caso dei Timoria, c'è molto di buono che porto con me e dentro i pezzi che ancora suono dal vivo. Abbiamo fatto la storia della musica italiana, eravamo ragazzini e già aprivamo i concerti dei Litfiba, Viaggio senza vento è stato il primo Disco d'oro del rock indipendente italiano. Certo avremmo potuto fare meglio, ci sono stati problemi seri col nostro cantante di allora, Francesco Renga. Ma anche dopo abbiamo messo a segno bei colpi e sono tutti pezzi miei, è come se fossero un mio braccio, i miei figli. E fanno parte del mio viaggio sonoro".