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De Gregori: "Le quote radio? Una fesseria". E confessa: "L'unica volta che ho detto ti amo"

Serata unica e irripetibile al teatro della Garbatella dove il cantautore terrà venti concerti già sold out per 230 fortunati: "Non ci sarà nessun cellulare, nessuna registrazione audio o video. Di tutto ciò non resterà traccia se non qui e ora. Saranno i miei concerti scritti sull'acqua"

Cinzia Marongiudi Cinzia Marongiu   
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      Mette le mani avanti: “Qui può succedere di tutto in qualsiasi momento. Anche che uno arrivi sul palco con una pianta da consegnare. Anzi, mi piacerebbe se succedesse. In effetti siete entrati in una specie di “Helza Poppin”. Poi chiede consigli sul look: “Che dite? Resto in versione da spettacolo con cappello e occhiali scuri? Oppure metto gli occhiali da vista?” e naturalmente li inforca senza aspettare nessuna risposta per concedersi la stampella del leggìo sui brani più scivolosi, a cominciare dalla traduzione di “Desolation Row” di Bob Dylan. E chiosa: ”Quelle che farò non sono le mie canzoni più conosciute e tante non me le ricordo nemmeno io”. Ogni tanto si rivolge agli amici di sempre e ai giornalisti “diventati anche loro amici dopo tutti questi anni” e invoca maggiore calore negli applausi. E quando li ottiene per “la leva calcistica del 66” si diverte a provocare: “Ah, allora vi piacciono i classiconi…”. Se poi gli viene un improvviso attacco di tosse, prende un bicchiere di vino e scherza sul rimedio: “Con questo sicuramente passerà”.

      Francesco De Gregori in versione Garbatella sembra davvero felice. Divertito e divertente. Sicuramente libero di esprimersi, di imprimere a questa preziosa serie di concerti acustici per 230 fortunati a sera (venti in tutto, ma già sold out) il suo mood del momento, inteso come quello esistenziale. Che lo vede grato e pacificato con il suo essere artista, cantautore o che dir si voglia al punto da prendere bonariamente in giro il suo monumento da principe. Lo fa presentando i suoi 64 cavalli di battaglia, ovvero il bacino di canzoni già rivestite e provate con la band (il capobanda Guido Guglielminetti al basso e contrabasso, Carlo Gaudiello al piano e tastiere, Paolo Giovenchi alle chitarre e Alessandro Valle alla pedal steel guitar, ai quali si aggiungono due coriste) dal quale ogni sera pescherà le prescelte. Tra queste, spiccano rarità, perfino in romanesco come “Piazza Barberini” e “Ma che razza di città”, canzone degli anni Settanta tristemente attuale nella Roma di oggi. Lui commenta divertito: “Mi piace sperimentare, fare musica, provare cose strane e cose che non ho mai fatto. Tanto all’età mia e avendo fatto pezzi come “La donna cannone” e “Titanic”, nessuno mi fischia più”. 

      Così per queste prove generali aperte alla stampa e a pochi amici (tra gli altri Luca di Montezemolo, Paolo Mieli, Pigi Battista, Giampiero Mughini) alterna i “classiconi” alla “Generale” e a “Rimmel” con brani struggenti come “A Pa’”, dedicata a Pierpaolo Pasolini, “La guerra” e “Condannato a morte”, ma anche “Stelutis Alpinis” e “San Lorenzo”, dove l’assurdità dei conflitti e delle intolleranze religiose si specchia nella desolazione di ciò che resta. Il tutto sotto forma di happening, dell’assoluto “qui e ora” dove i cellulari sono caldamente sconsigliati, lo streaming non esiste, la registrazione audio e video bandita, e già si sa che non ci sarà nessun disco live a raccontare le venti serate, uniche e diverse tra loro perché la scaletta è mobile: “I miei concerti scritti sull’acqua, di cui non resterà traccia”, enuncia lui citando John Keats e cercando di restituire lo spirito con cui li affronta: “Questa non è una formula contro qualcos’altro. Non è che vado in un piccolo teatro perché non amo i palazzetti o gli stadi. Anzi, se riuscissi a riempire uno stadio sarei felicissimo. Però la dimensione ridotta crea un altro tipo di dialogo e di ascolto, sai che il pubblico può vederti da vicino. E poi credo che in questa dimensione io dia il meglio di me stesso”.

      Una sorta “di richiamo della foresta” che nel suo caso è il glorioso Folk Studio dove, ricorda, “Cesaroni mi dava 500 lire per strimpellare e far rumore fuori dal locale e convincere le persone a entrare. E io ero già contento così. Figurati quando mi permettevano di salirci sopra il palco. È il bello di aver fatto la gavetta, di aver suonato per 15 persone senza provare frustrazione ma solo gratitudine. Lo ha fatto anche Springsteen? Lo capisco. È il gusto di suonare e di divertirsi. Senza timbrare cartellini e pure senza guadagnare chissachè. Parliamoci chiaro, è un’operazione a perdere questa, nel senso che quello che guadagno in venti serate normalmente lo guadagnerei in una. Ma a me piace provocare qualcosa che non è nell’aria”. Provoca anche quando gli si chiede cosa ne pensi della proposta leghista di riservare alla musica italiana il 30 per cento della programmazione radiofonica: "Mi sembra una stronzata. Non so cosa sarebbe statea la mia vita di musicista se non avessi potuto sentire le canzoni straniere". E poi scherzando: "sarei favorevole, soltanto se il 33% della musica fosse riservato allae mie canzoni. Ma tanto a me come a molti altri artisti in radio non mi passano... Dopodiché ci sarebbe da interrogarsi su questo".

      Nella traiettoria sgemba del suo cuore d’artista, d’altra parte, ad attenderlo ci sono già le terme di Caracalla (11 e 12 giugno), un tour nei luoghi artistici più beli d'Italia e addirittura un’orchestra sinfonica di 40 elementi, “l’altra faccia della luna che ho chiamato “Greatest Hits” in maniera spudorata visto che farò solo i miei successi conclamati ma in una versione strumentale inedita e quindi sperimentale anche quella”. E pure in quel caso non ci sarà un live: “Al massimo, se ne sarò convinto, registrerò un disco live con l’orchestra ma in studio, senza applausi né altro” anticipa divertendosi ancora una volta a mischiare le carte e a prendere in contropiede qualsiasi meccanismo scontato di questo mestiere, qualsiasi consuetudine oliata sulle preferenze del pubblico. “Non voglio che si aspetti qualcosa da me proprio perché rispetto tantissimo il pubblico”.

      Tanto poi a stenderli tutti ci mette pochi minuti. Come quando nella scaletta mobile di questa serata unica e irripetibile snocciola tre brani spaccacuore uno in fila all’altro. C’è “Sweetheart like you” di Dylan che nella sua versione diventa la tenera camminata sopra i pezzi di vetro di “Un angioletto come te”; c’è quel valzer spudorato di “Showtime” dove confessare la trepidazione dell’innamoramento come un ragazzino che cerca di afferrare “i pezzi di tempo”. E c’è ”Cardiologia”, l’unica canzone del suo quarantennale repertorio dove per la prima e unica volta nel testo figura un “ti amo”. Lui prima di eseguirla avverte: “Se siete depressi, con questa vi fate del male”. Poi, quando la canta, come potete sentire dal video, prima di confessare “ti amo” aggiunge furtivo un “magari”. A chiedergliene conto si ottiene un sorriso complice: “Non si è mai sicuri con l’amore…”.

      Cinzia Marongiudi Cinzia Marongiu   
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