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Il Gesù di Calaciura, messia senza averne l'aria

di Ansa   
Il Gesù di Calaciura, messia senza averne l'aria

di Francesco Terracina (ANSA) - PALERMO, 29 GEN - (GIOSUE' CALACIURA, "IO SONO GESÙ", Sellerio, 281 pagine, 16 euro) Il decimo romanzo di Giosuè Calaciura, "Io sono Gesù", esalta ancora una volta l'impresa di questo autore solitario, senza compagni di cordata, che ventitré anni fa esordì con un singolare volume, "Malacarne", in cui, con le mani in tasca, s'arrampicava nel disperato mondo della mafia senza parlare di mafia. Oggi ("adottato" dalla Francia che ha pubblicato tutti i suoi libri, tradotto anche in Spagna e in Germania) scala la biografia del Cristo, ignota persino al suo protagonista, rischiarando i tratti umani di un giovane che dice di sé: "Mi divertivo a recitare le parole dei Testi con rime tutte mie… Ridevo da solo per le mie trovate". Un Gesù che giocava "a fare il profeta" e che nel crepuscolo dell'orto si domanda come mai "da bambino non avevo immaginato di creare uomini diversi.

Migliori. Chissà, forse l'ho fatto, ma ormai non ne ho ricordo". Il racconto va a ritroso dai trent'anni di Gesù, ancora ignaro della sua leggenda, e attraversa la nausea del futuro Messia per i tradimenti subiti, il "disgusto per l'assenza di ogni giustizia, tra gli uomini e nella natura". In una costante ricerca del padre, che non raccontò mai la nascita del figlio, delegando il compito alla madre apprensiva e rassegnata, il Gesù di Calaciura scopre la violenza da piccolo, assistendo a una circoncisione in cui "i macellai di Dio si accanivano sul minuscolo pene raggrinzito dal dolore". Una tappa d'iniziazione che gli suscita un incontenibile riso, tanto che viene cacciato dal Tempio, dove "tutto si pagava". E per la prima volta si chiede se questo è il prezzo della "svendita di Dio e se questo è diventare adulti". A lui, tradito da una danzatrice velata di cui s'innamora, Delia, aggregata a una compagnia di girovaghi condotta dallo spavaldo Barabba, l'unico tratto di umanità che dà sollievo è quello del cane Chiodo, il cui candore richiama la carovana dei puri che affolla un precedente volume di racconti dell'autore, "Bambini e altri animali". Gesù, il ragazzo dalle ginocchia sempre sbucciate, non si sottrae alla rissa, fa a botte con un gruppo di "malacarne" intenti a molestare la danzatrice velata, che dalla vita aveva ricevuto poco e da essa aveva imparato, soprattutto, l'arte dell'abbandonare. Nemico di se stesso, il Gesù che dal padre ha appreso il mestiere di falegname, si ferisce volutamente il braccio con una scheggia di legno e tenta così di pareggiare il dolore dell'umanità che lo circonda, un manipolo di poveri, storpi, diseredati. Figlio di uno stupro, arriva a un'amara consapevolezza: "Non credevo in Dio, non credevo più negli uomini". Come dire? L'umanità va rifondata. (ANSA). .

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