Vanno ad assistere alla sfida – ben diversa dal rito “antichissimo e strano dove la palla la puoi calciare, colpire di testa ma non toccarla con le mani” – del LVI Super Bowl, dove comunque si mangia, si guarda, si beve, spot, whisky, birra e bibite gassate.
Li attendono nel loro appartamento di New York, Max, Diane e Martin. Max, appassionato di scommesse sportive per le quali ha dilapidato i capitali anche della moglie Diane, con la quale ha avuto “37 anni di routine micidiale”. Diane, ex-insegnante con troppi rimpianti. Martin, talentuoso e complice ex allievo di lei, perso nello studio compulsivo del manoscritto sulla relatività di Einstein.
Sono amici? Forse… ma quanto veramente si conoscono? Lo scrittore, genialmente, non ricorrerà a una delle coordinate narratologiche tradizionali. Quella di delineare psicologicamente personaggi che invece restano frammenti umani di una civiltà virtuale in estinzione. Restano “perduti nel nucleo cruciale della vita di ogni giorno”, incapaci loro stessi di definire le proprie identità profonde e tanto meno di relazionarsi.
“Tossicodipendenti digitali” che non sopravvivono alla morte della tecnologia
Improvvisamente – nel metafisico appartamento, kafkiano ”non luogo” di cui vengono minuziosamente descritte solo le sedie – delle unità elementari astratte si compongono e si dissolvono. Sono scandite ritmicamente da residui frammenti di dialogo in una lingua ignota su di uno schermo privo di immagini, divenuto inerte come i portatili e i cellulari. Forse è un cataclisma selettivo della rete, innescato dal Governo degli algoritmi.
Dopo un atterraggio d’emergenza, le luci si affievoliscono anche nell’ospedale dell’aeroporto dove si sono recati Jim e Tessa. Quindi si smarrisce “ogni fede nell’autorità di device sicuri, tweet, mail”.
Incertezza, precarietà, incompiutezza
Gödel, Heisenberg, non solo Einstein, e il “fallimento sequenziale” dei sistemi trascendentali, epistemologici, teleologici vengono declinati in uno stato allucinatorio da Martin. Riunitasi senza cordialità la compagnia, le parole divengono scommesse, le pause silenzi, le conversazioni monologhi incoerenti immediatamente repressi come:
“Taccio”, “È meglio che stia zitta/o”.
Sono frasi che ricorrono spesso. In un futuro imprevisto che sta prendendo forma troppo presto e disperde la mente collettiva, minacciato com’è da codici nucleari manipolati, hackeraggio, aggressioni biologiche con agenti patogeni, “annullamento delle percezioni personali nella supremazia quantistica”, alterazioni dell’ecosistema, asteroidi/meteoriti in grado di spazzare via interi esopianeti, pandemie virali.
Tutti insieme attraversano “l’insonnia di massa”, come in Saramago la cecità di un presente collassato e inaudito, dove potranno sopravvivere nuovi dati di geolocalizzazione satellitare per la rimasterizzazione della materia cerebrale, dopo probabili manipolazioni genetiche sfuggite al controllo di un Potere senza volto.
Alcuni accettano a livello subliminale l’incidente planetario. “Il guasto apocalittico” ha trasformato probabilmente la realtà esterna in un deserto postatomico, percorso da orde violente senza più controllo, simile a quello de La strada di Cormac McCarthy?
I protagonisti, rinchiusi in se stessi e “mistero per gli altri”, deflagrano nel delirio mentale ridotti alla loro spoglia meccanicità fisica. In un beckettiano scenario di detriti e afasia che ricorda L’ultimo nastro di Krapp e Giorni felici – abortisce definitivamente ogni tentativo di recuperare un passato di cui non rimangono che frammenti sconnessi.
Tutto in solo 100 pagine
Il silenzio è stato pubblicato nella versione inglese da Picador, con i caratteri tipografici di una vecchia macchina da scrivere: una brillante intuizione che andava mantenuta. E’ il romanzo più breve di DeLillo; solo 104 pagine. Romanzo inquietante e per nulla consolatorio. E’ molto di più ciò che viene taciuto e consegnato ad un ideale margine extratestuale.
Lo scrittore non cade nella trappola narrativa dell’”opera mondo” su temi attuali e delicati. Né tanto meno cade in quella “romantica” di un uomo che, nel silenzio tecnologico, torna a riscoprire il respiro della propria anima e il dialogo sincero con il prossimo.
Jim, Max, Diane, alla fine anche Martin, “tossicodipendenti digitali” tragicamente privi di autonomia interiore, sono fuori uso come i loro smartphone. Simili al replicante di Blade Runner, si spengono senza aver visto i Bastioni di Orione, le Porte di Tannhäuser… nemmeno una partita di football americano.
L'articolo DeLillo. Dopo la pandemia “Il silenzio” proviene da Cronache Letterarie.