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Dai punk ai mods, viaggio alla scoperta delle sottoculture giovanili

di Andrea Curreli   
Dai punk ai mods, viaggio alla scoperta delle sottoculture giovanili

"Non voglio essere come tutti gli altri, ecco perché io sono un mod" recita Jimmy il protagonista del film Quadrophenia ambientato nell'Inghilterra degli anni Sessanta. Jimmy appartiene alla working class, ha un lavoro umile, gira in scooter, ascolta la musica degli Who e porta un cappotto "parka" verde sopra completi di taglio italiano two-tone. Jimmy è un mod, ma con una radicale modifica della sua divisa potrebbe essere un punk, uno skinhead oppure un teddy boy. L'universo delle sottoculture nate in Gran Bretagna negli anni Cinquanta sono la materia del libro Dalla lambretta allo skateboard. Teorie e storia delle sottoculture giovanili (1950-2000) (Edizioni Unicopli, 2009) scritto da Roberto Pedretti e Itala Vivan. Nato come testo destinato a docenti e studenti universitari, il libro descrive in modo chiaro e approfondito la nascita e l'evoluzione delle sottoculture britanniche.       

La nascita delle sottoculture è dovuta all’ingresso del giovane come agente di consumo?
Itala Vivan: "Queste sottoculture fioriscono all'interno di una società tardocapitalista e legata al mercato dove i giovani sono diventati possibili clienti e consumatori. Ma ci sono anche dei motivi di natura diversa da quella economica. Le culture giovanili hanno una forte caratterizzazione britannica, perché la Gran Bretagna è un Paese dove l’associazionismo di gruppo è stato sempre molto forte data la formazione della società civile. E’ uno Stato dove si ottengono maggiori livelli di libertà e democrazia proprio grazie alla pressione dei gruppi. L’associazionismo dei giovani riprende un iter che è tipico della società britannica, capovolgendolo e rendendolo spettacolare. La spettacolarizzazione del fenomeno è la grande novità. E’ legata al modo di vestirsi, al modo di comportarsi, al modo di distinguersi che era anche delle classi superiori. Le sottoculture che nascono nella working class si impadroniscono di queste forme, ma le capovolgono anche parodizzandole e portandole all’estremo”.

La prima sottocultura giovanile, i teddy boys, nasce da un’influenza statunitense
Itala Vivan: "L’influenza americana è fortissima in tutta la società, ma mentre negli Usa i gruppi di giovani sono bande - basti pensare a film come Il gigante o Il ribelle - in Gran Bretagna sono sottoculture. E' interessante la specificità del fenomeno. In Italia l’associazionismo è ancora diverso perché legato ai fenomeni di moda, ma non ha quell’agglutinamento che è legato a un fatto culturale".

Ma in Italia non c’era una tradizione associativa?
Roberto Pedretti: "In Europa il modello è completamente diverso da quello britannico. I giovani italiani degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta dovevano scegliere tra l’oratorio e la sezione di partito. L'alternativa era limitata a due grandi chiese: quella cattolica e quella comunista. L’arretratezza di costume in Italia favoriva il confronto tra i giovani e la politica, cosa che in Gran Bretagna non era così visibile".

Nel libro viene messo in evidenza come le sottoculture giovanili siano una “reazione proletaria e insolente” alla società inglese?
Roberto Pedretti: "Questi fenomeni sono emersi in un periodo di forte sviluppo economico che hanno permesso ad alcune fasce della popolazione di accedere a una certa tipologia di consumi e di esprimere il proprio essere e la propria identità anche attraverso fenomeni consumistici. Uno degli elementi chiave di queste culture giovanili è stata la derivazione dalle classi subalterne e svantaggiate. La working class ha utilizzato questi mezzi culturali per esprimere un’identità concorrenziale nei confronti della cultura dominante. I giovani proletari hanno elaborato gli strumenti che avevano a disposizione esprimendo dei movimenti che ancora oggi sono saldi nella memoria collettiva".

Mods, skinhaeds e punk permangono nella società attuale.
Roberto Pedretti: "Sì anche se in forme diverse, ma quello che è interessante è il fatto che alcuni elementi soprattutto estetici, espressione di queste culture giovanili, siano rimasti e vengano anche recuperati. Basta guardare le vetrine dei negozi di moda per trovare degli elementi che risalgono a quella esperienza. Vivienne Westwood ad esempio proviene dal punk”.
Itala Vivan: "E' vero sono ovunque però sono molto degradati. I punk inglesi erano creature bellissime con una estetica raffinata, erano tutti magri si muovevano come grandi ragni, dopo ci sono state le frange degradate. E' stata poi esportata questa forma degradata".

In che modo la musica e la politica entrano nelle sottocultura.
Roberto Pedretti: "La musica entra perché è uno dei fattori caratteristici e innovativi all’interno dei comportamenti giovanili. A partire dagli anni Cinquanta, anche attraverso l’introduzione del vinile, diviene un fenomeno di massa e commerciale. C’è una ripresa delle culture americane e c’è anche l’influenza degli immigrati soprattutto dalle ex colonie nelle Antille. La musica nera, il reggae, il rhythm and blues o lo ska, che arriva con gli immigrati suscita un interesse nei giovani bianchi della working class. Il culmine arriva nel 76-77 con l’incontro tra il punk e il reggae. Il punk è per sua natura una sottocultura ibrida. Questa ibridazione culturale sebbene presente non è così evidente nelle altre sottoculture".

Negli anni Ottanta le sottoculture lasciano il posto all'hooliganism.
Itala Vivan: "L' hooliganism non ha le caratteristiche della sottocultura, ma è un luogo dovo sono affluite le sottoculture e che ha aiutato la creazione di altre sottoculture. Si differenzia perché è un atteggiamento molto violento sin dagli anni Settanta e legato al mondo dei club calcistici".

Come si è arrivati al “supermarket degli stili”?
Roberto Pedretti: "E’ una definizione di Polhemus. Viviamo in un mondo ibrido e le culture giovanili sono state anticipatrici di questo fenomeno perché i giovani tendono a comportarsi in maniera molto mimetica utilizzando elementi di sottoculture diverse. Per Polhemus si muovono come all’interno di un supermercato raccolgono le scarpe dello skinheads, la giacca del mods il cappello del punk, il comportamento dei ravers. Ci troviamo così davanti a delle forme non direttamente riconoscibili in un mondo più fluido".
 

di Andrea Curreli   
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