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[L'intervista] "Io, dislessica cresciuta in comunità di recupero. Scrivo per aiutare i bambini come me"

L'infanzia a San Patrignano, la scuola tra le difficoltà, non capita. Poi la presa di coscienza. E l'inizio di una nuova vita. Andrea Delogu, conduttrice tv e in radio, racconta tutto qui

Cristiano Sanna Martinidi Cristiano Sanna   
Andrea Delogu, conduttrice tv e radiofonica, e scrittrice
Andrea Delogu, conduttrice tv e radiofonica, e scrittrice

La verità è che pur avendo iniziato con le selezioni per le nuove Veline e tra le Letteronze, con quelle cose lì c'entrava pochissimo. E il suo percorso successivo lo ha confermato. Oggi Andrea Delogu è tra le conduttrici e presentatrici più gettonate della tv e della radio italiana. Non vieni promossa da personaggi particolarissimi come Marco Giusti (Stracult) e Renzo Arbore (Guarda...stupisci) se non hai quel che in più. Qualcosa di diverso. Che da Sanremo Giovani ai Sociopatici, continua ad affermarsi senza aver alcuna paura di svelare la propria vita molto particolare. Lo aveva già fatto nel primo libro La collina, ora prosegue con Dove finiscono le parole, in cui parla della sua vita di pari passo con la dislessia. Scoperta e capita solo quando aveva 26 anni.

Andrea, la biografia dice: nata a Cesena. Ma quel cognome vuol dire famiglia di origine sarda.
"Esatto, di Sorso. Io adoro la Sardegna, appena sento l'accento mi illumino. E' casa mia, la mia terra del cuore".

Non si può dire che tu non ami raccontarti senza filtri: nel primo libro scrivevi della tua infanzia nella comunità di recupero di San Patrignano, cresciuta lì mentre i tuoi genitori si liberavano dalla dipendenza. Ora tocca alla dislessia. Che, lo diciamo subito: non significa essere malati o disabili. E' proprio un modo diverso di "sentire" il mondo attorno a noi.
"Grande! (ride). Ti aspettavo al varco, dove tutti cadono: mi sento dire di continuo com'è vivere con questa patologia che sarebbe la dislessia. Ma non c'è nessuna malattia. Tutti a chiedermi se sono guarita. In realtà un cervello dislessico funziona diversamente, c'è ad esempio chi fatica a leggere un testo scritto stampato su carta ma non ha nessuna difficoltà a visualizzarlo e comprenderlo su un tablet, chi segue con difficoltà una spiegazione verbale a scuola ma capisce al volo il concetto se spiegato con uno schema o un disegno, chi deve leggere o far di conto un po' alla volta perché le cifre e le lettere si sovrappongono alla vista. Certo questo significa che l'impatto con la scuola, con i primi amichetti, è sempre molto delicato. Io scrivo per questi bambini, perché si eviti di considerarli diversi o mancanti in qualcosa".

E' brutto essere trattati da ritardati e da studenti svogliati. Che ricordi hai della tua esperienza di alunna a scuola?
"Io ero come in una sorta di ipnosi, come se fosse in un mondo sospeso, non riuscivo a capire perché i miei compagnetti capissero e imparassero al volo concetti su cui io dovevo faticare. Mi sembravano tutti geni quando sparavano i nomi dei verbi e le tabelline a tutta velocità. Io ho imparato a ridurre il divario ad orecchio, seguendo il suono dell'italiano parlato dagli altri, o con i film e la tv. A 26 anni ho capito che non avevo colpe. Oggi divoro libri, parlo e scrivo senza problemi, esistono metodi e tecnologie che aiutano molto. Questo ci porta alla grande necessità di avere un corpo insegnante adeguatamente preparato per aiutare i bambini e ragazzini dislessici".

In altre parole: non esistono dislessici ritardati, esiste una Scuola in ritardo sull'insegnamento verso questi casi particolari.
"Esatto. Intendiamoci: ci sono bravi insegnanti, professori e maestre che fanno il loro mestiere al meglio, ma l'assistenza a chi è dislessico non può essere lasciata alla sensibilità e al buon cuore personali. Serve proprio una formazione didattica specifica. E qui in Italia su questo siamo indietro".

In precedenza, come dicevamo, scrivevi di come sia stato particolare crescere a San Patrignano, fra i ragazzi che si liberavano dalla schiavitù della droga. Cosa ti ha lasciato quell'esperienza?
"Ho imparato che niente è impossibile. Vedere ragazzi che ce l'hanno fatta a rimettere in piedi la propria vita con tenacia e caparbietà è stata una enorme lezione di vita. Anche i miei genitori, che allora erano ragazzini, hanno recuperato pienamente la loro esistenza. Per questo, quando oggi non ottengo un lavoro o non realizzo quel che desidero tanto, non riesco ad abbattermi. E' un tesoro che porto con me. Il valore della comunità, proprio, il fare le cose assieme".

Una cosa che colpisce di te: ami mostrare anche un'immagine giocosa e sexy di te e del tuo corpo, ma in una maniera che non c'entra niente con il vecchio stereotipo della Velina nuda da appendere al muro in un calendario.
"Ah sì, non ho alcun tabù riguardo al mio corpo. Io sono così, scherzando dico che mi vesto per decenza vostra, non mia. Sono cresciuta in modo molto libero. Ma non faccio di questo il mio passaporto. L'abito scollato o una minigonna provocante possono starci, ogni tanto. Ma mi fermo lì. Prima vengono lo studio, la preparazione, la professionalità. Poi pure io mi sto dando una calmata: gli anni avanzano e non è che posso fare sempre la splendida seminuda (ride)". 

Che accade nel tuo prossimo futuro professionale?
"Ho ancora un po' di puntate di Stracult e la radio, su Radio Due. Sto facendo promozione al nuovo libro, poi si vedrà. Su torna a discutere i vari contratti, spero che a settembre succedano cose belle".

Il rapporto con tuo marito, Francesco Montanari, il "Libanese" di Romanzo Criminale in tv oggi nel cast de I Medici, è pure quello particolare. Tu lo descrivi come un legame che va oltre i limiti personali e i reciproci impegni. Come ci riuscite?
"Con molto rispetto, sostenendoci a vicenda, senza invadere la strada dell'altro. Succede a me quando sono presa dalla tv, e a lui, che per preparare un ruolo magari viaggia e fa ricerche per conto suo per settimane". 

Come spiegare e affrontare la dislessia. E i termini da evitare

 

 

Cristiano Sanna Martinidi Cristiano Sanna   
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