Ferreri: "Gli ultras sono gli ultimi antagonisti in Italia"
Quando si parla o si scrive di “ultras” difficilmente i giornali vanno oltre la lapidaria condanna e altrettanto difficilmente i libri che analizzano il fenomeno si limitano a questa. Seguendo questo schema nel quale i media bocciano senza appello e lo scrittore o il sociologo cerca di capire, Andrea Ferreri ha dato alle stampe il suo libro Ultras, i ribelli del calcio (Bepress edizioni 2009). Il testo non contiene nulla di nuovo nella parte iniziale che ripercorre velocemente i quarant’anni del movimento, mentre ha il merito di descrivere con sintetica precisione quelle che sono le dinamiche ultras. In appendice l’analisi si ferma per dare spazio direttamente alla voci dei tifosi. Premessa doverosa: Andrea Ferreri scrittore ed editore del libro è uno dei fondatori degli Ultrà Lecce, gruppo leader della curva salentina.
Lei pone in risalto il ribellismo, lo spontaneismo e l’antagonismo e definisce il fenomeno come uno degli ultimi spazi di aggregazione giovanile. Vuole spiegare queste caratteristiche?
"Quando si parla di ultras generalmente non viene messa in evidenza la natura ribelle del fenomeno. Invece va inquadrato tra i fenomeni antagonisti come i mods o gli skinheads. Tra l'altro con i suoi quarant'anni è uno tra i più longevi in Italia. E' una sottocultura che ha una forte rabbia sociale e per questo trova sempre meno spazi. Il fenomeno comunque è in crisi".
Lei sostiene che il mondo ultras è in piena crisi di identità e di valori, ma lo spazio che hanno oggi le tifoserie organizzate sia all’interno delle società che dei media è enorme rispetto solo a dieci anni fa. Non crede?
"Si sta svendendo la vecchia mentalità a favore di una commercializzazione del fenomeno. Prima c'era una netta divisione dei ruoli mentre oggi gli ultras si siedono al tavolo con il presidente di turno. Questo non è un bene perché inevitabilmente il fenomeno viene istituzionalizzato e perde lo spontaneismo. Questa tendenza ha riguardato prima le grandi tifoserie, ad esempio a Milano e Roma, e poi si è allargata anche alle altre realtà. Con le leggi in vigore e la tessera del tifoso poi si cerca di limitare all'aspetto folkloristico delle coreografie e dei cori quella che un tempo era una spina nel fianco del sistema calcio".
Ha introdotto il tema delle leggi antiviolenza. Negli ultimi anni c'è stato un crescente irrigidimento nei confronti degli ultras da parte dei politici e per lei questa “repressione” ha alimentato solo tensioni. Qual è allora la soluzione?
"Soluzioni reali non ce ne sono perché nonostante i raduni il movimento ultras resta un animale a più teste. Ognuno ha la sua mentalità e va avanti con quella. La politica cerca di reprimere il fenomeno perché vuole eliminare lo spirito riot".
"Fare scontri" è il metro di giudizio che permette a un gruppo di conquistare o perdere rispetto nel panorama ultras. Non le sembra che questa politica si stia rivelando controproducente?
"La violenza sicuramente ghettizza il fenomeno. Ma anche in questo caso non si tiene conto del fatto che dagli anni Ottanta in poi c’è stata una crisi di valori. Non si è tenuto conto delle rabbie sociali che si creavano e che hanno trovato il loro sfogo in uno spazio di aggregazione come lo stadio".