"Mai visto niente del genere": a Cannes il trionfo di "Titane", film shock e scandaloso nato per dividere

"Non avevo mai visto un film in cui una Cadillac mette incinta una donna con cui si è accoppiata". La frase del goffo presidente di giuria Spike Lee (che ha subito annunciato il film vincitore della Palma d'Oro a Cannes, invece di partire dagli altri premi per andare poi in crescendo) sintetizza bene l'oggetto oltraggioso che giurati, giornalisti e pubblico si sono trovati di fronte al Festival. Il premio più prestigioso di questa edizione va a un meteorite incandescente qual è Titane, diretto da Julia Ducorneau (seconda donna a vincere il premio dai tempi di Jane Campion con Lezioni di Piano). Qui una prima analisi del film e qui tutti i premi. Estremo e shockante, provocatorio e a tratti insostenibile, Titane ha una storia delirante fatta apposta per dividere. Che ha finito per unire una giuria in cui ciascuno aveva il suo film preferito. Vediamo il perché di questo trionfo disturbante.
Sesso, perversioni e scontri fra carne e metallo
E' stato detto che Titane riecheggia una certa cinematografia body horror che da Cronenberg attraverso Tsukamoto torna d'attualità nel lavoro della Ducorenau. Con le debite differenze (di tenuta narrativa e profondità), il film francese riporta lo spettatore in una narrazione allucinata di cui è protagonista una ragazza vittima di un grave incidente e che è riuscita a sopravvivere anche per la placca di titanio impiantata nel suo cranio. Da quello shock torna trasformata nel corpo e nella psiche. A cominciare dalla sessualità, che si esprime in una serie di danze attorno alle automobili come feticcio di un'intera vita. I numeri di danza di Titane sono stati elogiati fra i momenti più alti del film. E durante uno di questi, Alexia (Agathe Rousselle) si accoppia con la leva del cambio di un'auto e resta incinta. Primo sfondamento della barriera del realismo e balzo nell'allucinazione. Perché Alexia si porta appresso devastazioni che cominceranno a moltiplicarsi attorno a lei.

Un padre disperato e un ragazzo-ragazza serial killer
Altro protagonista di Titane è un Vincent Lindon mai visto prima così: dopo aver abituato gli spettatori a ruoli d'autore, intimi, realistici, qui è un palestrato vigile del fuoco che ha perso suo figlio e da allora vive prigioniero del suo dolore. Finché incontra il ragazzo che potrebbe essere Adrien, proprio suo figlio che credeva morto. Ma se Adrien fosse la nuova identità di Alexia? E se Alexia-Adrien fosse il serial killer che sta seminando vittime in modo brutale proprio nella comunità in cui vive Vincent? Titane corre a trecento all'ora fra trasformazioni fisiche, contaminazione feconda di olio motore e umori sessuali umani, scocche in titanio e corpi segnati da incidenti e dai colpi di un omicida seriale. Si pone come un viaggio nell'identità personale e di genere, e provoca a colpi di tabu infranti. Ma a Cannes ha soprattutto diviso: troppo compiaciuto nella sua volontà di mandare sotto shock a tutti i costi gli spettatori, poco coerente nella narrazione, e alla lunga stancante. Portandosi però appresso il premio più importante. Segno del desiderio di un cinema che smetta di essere d'elite per ritrovare prima possibile il mercato (ma come andrà nelle sale un film che già nasce "vietato"?). Del maggiore spazio alle autrici, e di quanto ci si sia stancati di un certo cinema salottiero e borghese, al cui apice sta Tre piani di Nanni Moretti, che ha sì avuto 11 minuti di applausi dopo la prima proiezione, ma che è poi stato stroncato dal buona parte della stampa internazionale come film stanco, già visto, una versione minore e inerte dell'ottimo La stanza del figlio. Potranno forse essere soddisfatti i detrattori di Moretti, ma la domanda resta: se Titane è il nuovo che avanza, qual è lo stato di salute del cinema?