Talking Heads, torna il miglior film-concerto di sempre: “Jerry Harrison: “Guardatelo chiudendo gli occhi”
Videointervista al tastierista e chitarrista della band che torna nelle sale con “Stop Making Sense”, esperienza visiva e sonora imperdibile
Stop Making Sense, diretto dal grande Jonathan Demme, diventato da allora il miglior film-concerto di sempre, è tornato in sala (distribuito da Nexo Digital e A24) in una versione (in 4K) affascinante e suggestiva, ad opera di James Mockoski, con una colonna sonora rimasterizzata da Jerry Harrison. Una vera celebrazione della musica e per ciò che allora si rivelò un’esperienza visiva-sonora (ascoltando il disco omonimo) e all’avanguardia, in un progetto unico, di linguaggi, arti, teatro, performance, sperimentazione. I protagonisti erano ovviamente i Talking Heads, a partire dal suo leader, David Byrne, e con lui, tutti i componenti, tra cui lo stesso Jerry Harrison, tastierista e chitarrista, incontrato all’ultima Festa del Cinema di Roma dove il restauro è stato presentato.
Qualcosa di eccezionale
Un puzzle in movimento, e fatto di movimenti, la cui scaletta (all’epoca) andò di pari passo ad una messa in scena ricca di suggestioni, visual, idee. Uno show, ripreso nel dicembre del 1983 in quattro serate al Pantages Theater di Hollywood, in cui Byrne balla, canta, si traveste, recita, ci immerge, e fa immaginare, qualcosa di mai visto su un palcoscenico. Stop Making Sense, dunque, ridiventa oggi vita, energia, fascinazione di un momento epocale, e si proietta verso un pubblico giovane, non solo di nostalgici o appassionati, desiderosi, si spera, di scoprire una fetta di storia importante, un punto di riferimento del suo genere a cui ci si ispira ancora, ma che diventa difficile da imitare.
Un tour (e un film) memorabile
“Il tour fu fantastico, ottenemmo ottime reazioni da parte del pubblico”, ci racconta in esclusiva Jerry Harrison. “È stato il culmine, una serie di combinazioni, di circa quattro anni di tour con una band allargata, diventata più raffinata e definita, con gli aspetti visivi diventati molto più integrati in ciò che suonavamo. Penso che una delle cose a cui penso nel fare il restauro è che il pubblico più giovane vada, e che gli piaccia qualcosa che sembri vecchio. C'era un movimento di persone che volevano ascoltare solo cassette perché a loro piaceva il rumore e la consistenza, dava autenticità. Ma ci sono anche cose che la gente dice, beh, «voglio davvero che sia bello quanto le novità che sto guardando». Penso che ciò che realmente è successo è che, poiché è stato girato in 35 millimetri, quando è stato trasferito in digitale, ha un effetto diverso che se fosse stato girato in digitale. Ha una lussuosità nel colore che solo la pellicola d’un tempo riusciva a catturare in quel modo. Ma con questo abbiamo portato tutto ad una definizione più alta.
Poi il pubblico, il mix, eravamo un po’ conservatori sull’usare questo surround spaziale, ma comunque ti avvolge quando sei a teatro. Penso che quando le persone ballano mentre lo guardano, possono anche chiudere gli occhi e scegliere, come se potessi sentire la parte di Bernie Worrell laggiù. Riesco a sentire la parte di Alex Weir laggiù. Tutto ciò ti fa semplicemente venire voglia di andare a guardarlo di nuovo”
Rimanere eterni nella musica
“È fantastico”, prosegue Harrison. “Voglio dire, quando sei un artista, stai cercando di avere successo in un momento, e stai cercando di avere successo per essere felice tu stesso. Stai cercando di raggiungere un pubblico. Quindi, ovviamente, la cosa finale è quell'interesse del pubblico, c'è un legame? Dura? Naturalmente, ne sono molto orgoglioso e felice di essere stati in grado di attraversare quella voragine ogni volta”.