Spielberg e Lo squalo: l'inferno sul set e "il mio senso di colpa per la paura che ho scatenato"
A quasi 50 anni dall'uscita nei cinema e mentre arriva il libro di ricordi del grande regista, retroscena di una lavorazione che fu terribie, faticosissima
A ciascuno il suo inferno e quello di Steven Spielberg ha un nome preciso: Martha's Vineyard. L'isola a due passi dal Cape Cod attraverso cui passano le balene e che ispirò anche Moby Dick divenne il set deciso dall'allora giovane regista che si trovò in breve tempo a lavorarea Lo squalo avendo quasi tutti contro. Quel che venne fuori da settimane di guerra sul set è uno dei più grandi successi della storia del cinema, un classico dell'horror che ha talmente marchiato di paura l'immaginario di generazioni di spettatori da far pentire Spielberg. Più volte ha dichiarato: "Mi spiace davvero molto che per via del mio film questo animale sia rimasto legato a una fama così terribile". Tanti di quelli che ci pensano molte volte prima di entrare in acqua, specie se non vedono cosa c'è sotto, sanno di cosa si parla. Ma tant'è, era fatta. Farcela fu una delle più grandi prove di resistenza per quello che sarebbe diventato un maestro del cinema.
Dopo Duel, l'ora di crescere
Spielberg aveva neanche 28 anni quando si imbarcò nella lavorazione di Jaws. Fino ad allora era l'ambizioso e abile giovane che aveva colpito molti con il film a bassissimo costo Duel e aveva rivelato le sue ambizioni nel successivo Sugarland Express. Non aveva fatto il grande salto e forse non l'avrebbe mai immaginato.
Di certo era pieno di passione e molto testardo, fino a farsi cedere i diritti del libro di Peter Bencheley che era restio fin lì ad affidare la sua "creatura" agli uomini di cinema. Quel che ne scaturì è parte del memoir Spielberg: The First Ten Years di Laurent Bouzereau in cui il regidta racconta la sua discesa all'inferno e la risalita verso il paradiso della definitiva consacrazione nella settima arte.
Tutti contro tutti, esasperati in mezzo all'acqua
La lavorazione di Jaws (letteralmente: fauci, o mascelle) fu quanto di più simile al montare di una feroce nevrosi collettiva che mise spesso il regista contro troupe e staff. La ragione è che gran parte delle riprese avvenivano in acqua, fra salsedine, sudore, temperature esasperanti e mal di mare. I continui problemi con l'attrezzatura galleggiante e con il malfunzionamento dello squalo finto furono la spoletta che fece deflagrare litigi e discussioni.
Spielberg faticò a mettere insieme il cast, trovando la svolta con il granitico Roy Schrader, con Richard Dreyfus che gli fu insistentemente segnalato dall'amico George Lucas, e dovendo rigirare le scene con un Robert Shaw molto in parte ma spesso sbronzo e dunque impreciso. Capitolo a parte meritano le musiche di John Williams, rimaste nel mito ma che a Spielberg all'inizio non piacquero perché le trovava troppo strane e minimali, ma furono proprio quelle poche note a diffondere un terrore che non ha mai lasciato l'effetto del film. Successo, quindi. Aiutato dal fatto che per la prima volta i trailer di un film venivano frammentati in "bocconi" di 30 secondi in prima serata sui principali network televisivi. Una strategia che ha fatto scuola. Lo squalo bruciò in breve tempo i record di incasso, divenne il film da vedere. Divenne una paura senza tempo e fece diventare Spielberg ciò che da allora è sempre stato: un maestro.