L'Oscar a No Other Land che torna al cinema e mostra la violenza sui palestinesi. Israele: "E' sabotaggio"
Il film documentario diretto da israeliani e palestinesi è stato lo schiaffo dell'Academy al mondo. E fa inferocire il governo israeliano. Cosa racconta

"Ho cominciato le riprese quando hanno iniziato a distruggerci". E ora che ha vinto anche l'Oscar come migliore film documentario, dopo aver fatto messe di altri premi importanti per mesi, dal 6 marzo torna al cinema No Other Land diretto dal palestinese Basel Adra assieme al conterraneo Hamdn Ballal a cui si sono uniti gli israeliani Yuval Abraham e Rachel Szor. Mentre il massimo ricomoscimento tributato a questo lavoro dall'Academy fa ribollire di rabbia il governo di Israele retto da Netanyahu. Perché la vicenda dello sfollamento forzato del villaggio palestinese di Masafer Yatta, con arrivo di polizia, mezzi militari, ruspe a demolire tutto e l'aggiunta di coloni israeliani armati a sparare sui residenti, prefigurava quello che poi è definitivamente esploso dal 7 ottobre 2023 prima con l'attacco di Hamas e poi con la risposta di Israele.
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Mandati via e non sapere dove andare
No Other Land documenta il saldarsi di un'amicizia personale e professionale fra Basel e Yuval, la difficoltà di farsi accettare dalla comunità dell'altro, in un clima di violenza, sopraffazione, odio storico e religioso e la pressione per lasciare Masafer Yatta, ma per andare dove? "Alle Maldive" dice Base a Yuval in una delle sequenze allo stesso tempo più divertenti e più amare del film che ha vinto l'Oscar. E le riprese catturano gli scontri, la violenza fisica, le costrizioni, l'esodo forzato (che proprio gli ebrei hanno toccato sulla loro pelle, in modo orribile, nel corso della storia) e allo stesso tempo la coscienza che non ci può essere nessun altra terra in cui stare, se non quella seppure povera, in cui sei cresciuto, sui terreni dei tuoi avi, e magari costruendoti una casa semoplice con un pezzo di terra dove coltivare e allevare animali.

La rabbia di Israele
Al governo israeliano che continua le operazioni militari, allargandole alla Cisgiordana, aizzato anche dai terribili show propagandistici di Hamas in occasione del rilascio degli ostaggi catturati il 7 ottobre di un anno e mezzo fa, il successo e l'Oscar a No Other Land non sono piaciuti per niente. Miki Zohar, ministro della Cultura di Israele, su X ha commentato: "La vittoria dell'Oscar No Other Land è un momento triste per il mondo del cinema. Invece di presentare la complessità della nostra realtà, i registi hanno scelto di dare eco a narrazioni che distorcono l'immagine di Israele nel mondo. La libertà di espressione è un valore importante, ma trasformare la calunnia di Israele in uno strumento di promozione internazionale non è creatività, è sabotaggio dello Stato di Israele, e dopo il massacro del 7 ottobre e la guerra in corso, fa doppiamente male".

La risposta? Rivedere la legge che finanzia l'audiovisivo così da "garantire che le risorse pubbliche siano dirette a opere che parlano al pubblico israeliano, e non a un'industria che fa carriera diffamando il Paese nei festival stranieri". Nel mentre, Amnesty International documenta l'aumento delle violenze in Cisgiordania (non Gaza, quindi), con lo sfollamento di altri villaggi palestinesi, come Zanuta e Shi’b Al-Butum, e l'Ocha (Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari) pubblica un dossier che mostra tra il 7 ottobre 2023 e il 31 dicembre 2024, 1860 casi di violenza dei coloni con oltre 300 famiglie mandate via con la forza, 1762 persone fra cui 856 minorenni senza casa e senza terra. E una media di quattro attacchi armati al giorno (raddoppiati) contro i palestinesi.