Il Gladiatore II, una tamarrata con ambizioni da Oscar. Mentre Denzel Washington dà l'addio al cinema
Il film di Ridley Scott, sequel del fortunatissimo primo, punta al puro spettacolone. Ma l'attore afroamericano è stellare, prima di dire basta
Prendete l'inarrivabile (e maltrattato) Spartacus di Stanley Kubrick, shakeratelo forte con Il Gladiatore di Ridley Scott e aggiungete sul cocktail tamarro una spruzzata di Spartacus (quello trash della tv in streaming) e di Rome (sempre streaming) e avrete Il Gladiatore 2. Diciamocelo chiaramente: il Ridley Scott che dirige e coproduce questo sequel molto atteso che si abbandona a vette di trash al limite del ridicolo involontario, non ha niente a che vedere con il regista raffinato e artistico di I duellanti (che sfiorò la vittoria a Cannes e di cui ancora il regista si lamenta che la Palma gli fu strappata da una giuria corrotta), di Blade Runner, Alien e Thelma e Louise. A 86 anni suonati, Ridley è un maestro grafico dello spettacolone al cinema che mira a fare i soldi, a riempire teste e occhi degli spettatori e a spostarsi verso il progetto successivo. Punto.
Scordiamoci il primo Gladiatore
Con la stessa franchezza, bisogna riportare i commenti di chi ha visto le prime proiezioni di Il Gladiatore II negli Usa, per gli addetti ai lavori come quelli del Sag (il sindacato degli attori che assegna ogni anno i relativi premi). Si parla di spettacolo visivo e di ambizioni da Oscar per Ridley Scott, che non ne ha mai vinto uno. Quindi arriviamo al punto: questo sequel del Gladiatore, che tanta fortuna ebbe e diede a Russell Crowe, non ha niente a che vedere con la misura del primo film. Qui vince l'eccesso, fra scontri nell'arena iper coreografati, gladiatori in sella a rinoceronti e battaglie sanguinose fra schiavi armati ribelli e forze imperiali guidate non da uno, ma da due imperatori uno più brutto e cattivo dell'altro. Al centro della trama (se così la vogliamo chiamare) c'è il Lucio, figlio di Massimo Decimo Meridio, interpretato dall'irlandese Paul Mescal. Viso da birraiolo irlandese con muscoli tirati a lucido, macho ma anche queer al punto giusto, che come accadde allo zio, generale tradito e ridotto a combattere fino alla morte, prima dovrà salvarsi la vita in un duello dopo l'altro, poi scalerà la società romana corrotta e classista fino a sfidare in aperta ribellione il potere assoluto. Nel mezzo c'è tantissima azione, di grana grossa e indegna dell'eleganza passata di Scott. Che però viene da House Of Gucci e dal Napoleone sbagliato con Phoenix dove in spregio della Storia i francesi sparano contro le piramidi d'Egitto. C'è una stella fulgidissima, in tanto film da popcorn con la salsa sopra. Con scimmie urlanti e pesci super veloci nell'arena fatti con effetti speciali in CGI piuttosto bruttini e grossolani.
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Denzel Washington sommo prima dell'addio al cinema
Se c'è un elogio su cui siamo d'accordo, è nella grandissima prova attoriale di Denzel Washington nei panni di Macrino, schiavista-impresario-maestro di intrighi al contempo sinistro e affascinante. La prova di Washington che qui ha il posto che fu di Oliver Reed nel primo Gladiatore (che a causa dei suoi eccessi morì su quel set durante le riprese) stabilisce la differenza fra un grande attore e i figuranti muscolosi, oliati a dovere e urlanti (ci va di mezzo pure Pedro Pascal, che pure in The Last Of Us e perfino Game Of Thrones aveva mostrato ben altre sfumature interpretative) che servono unicamente come figurine da mandare al macello sul campo di battaglia. Godiamocelo, questo tocco di eleganza in un film divertente e tamarrissimo, perché Denzel Washington è pronto a dare l'addio al cinema. Lo ha detto di recente alla stampa Usa: "Farò i film su Otello, Annibale, il prossimo Black Panther, Re Lear e poi andrò in pensione". In pratica Denzel torna ai suoi esordi come attore teatrale, ma al cinema. Un cerchio che si chiude.