Civil War: se gli americani si ammazzano e torturano fra loro. ll film shock e poi l'addio del regista
Se ne parla moltissimo e suscita polemiche a non finire. Alex Garland mostra un gruppo di reporter tra quattro fazioni che fanno a pezzi gli Usa
La guerra è ormai diventata un perenne videogame, le immagini di Call Of Duty riprendono e traspondono i filmati di guerra dei soldati con le loro GoPro o simili, e questi si rifanno all'immaginario dei gamers per riproporlo in diretta mentre sparano, ammazzano, prendono prigionieri o urlano feriti. La guerra è ovunque e ci stiamo desensibilizzando ai suoi orrori. Ma c'è un caso particolare che colpisce: quando la guerrra arriva negli Stati Uniti, il posto meno bombardato del mondo, quello in cui il maggior numero di vittime è però arrivato durante la Guerra di secessione dell'Ottocento, con una stima abbastanza precisa che si ferma attorno ai 700mila uomini caduti, solo fra i soldati e senza contare i civili. Per questo ciò che mostra Civil War, il film di Alex Garland in uscita in tutti i cinema il 18 aprile, è ancora un cazzotto allo stomaco.
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Spara e ammazza, siamo americani
5 gennaio 2021. Quando civili armati e aggressivi irruppero nel Campidoglio, simbolo supremo del potere negli Usa, sfregiando quei luoghi, sfondando, scontrandosi con le forze di sicurezza. Qualcosa di mai visto prima, e successivo all'elezione di Biden a spese di Trump che non volle accettare il verdetto delle urne, urlò ai brogli e ora è pronto a prendersi la sua rivincita. C'è molto di questo, in un'America sempre più instabile e polarizzata, nell'immaginario da cui parte Civil War. Diretto da Garland e interpretato da Kirsten Dunst, Wagner Moura, Cailee Spaney e Stephen McKinley Henderson, dà corpo alla più grande paura americana e con essa di gran parte del mondo, che dalla solidità degli Stati Uniti dipende in modo finora vitale: una guerra civile in cui quattro diverse fazioni si combattono fra aerei, elicotteri, mezzi pesanti, droni, soldati nelle strade. Nel film un gruppo di reporter si muove fra macerie, esecuzioni, bombardamenti, torture. La follia dell'America che domina il mondo porta alla sua implosione e Garland non fa sconti quanto alla messa in scena.
Da nessuna parte
Già prima dell'uscita, Civil War ha calamitato dibattiti e polemiche. Sia per alcune scelte, come quella di filmare Texas e California alleati contro il governo centrale, l'Alleanza della Florida e il New People's Army, sia per il piglio allo stesso tempo spettacolare e documentaristico usato dal regista Garland. Che per tutto il film non si schiera da nessuna parte. "Il mio intento è mostrare il più grande rischio che contiene questa grande divisione politica" ha risposto alla tv americana, interrogato sul perché fare ora un film del genere. Ora che gli Usa sono incalzati da Russia, Cina, India e tutta una parte di mondo che ne detesta l'onnipresenza e il ruolo di arbitri del mondo, in crisi anche la solidità dei loro rapporti con Israele, e pericolosamente oscillanti al loro interno per via del duello molto aggressivo fra Trump e Biden, mentre i grandi signori della tecnologia dall'alto di satelliti privati e algoritmi influiscono sui pareri e le decisioni delle persone e malsopportano qualsiasi vincolo di Stato. Un super potere. Una visione degli States lanciati a tutta velocità da nessuna parte, se non contro se stessi. Mentre Alex Garland annuncia il suo ritiro: "Mi sono disinnamorato della regia e di un certo modo di fare cinema" che oggi va per la maggiore. Come ultimo segnale di sé, non è niente male.