La trasformazione shock e la rinascita: così Brendan Fraser punta dritto all’Oscar

Dopo essere stato protagonista di tre film colossal della saga de La mummia, l'attore era quasi scomparso. Oggi con "The Wale" punta in alto

di Andrea Giordano

Alzi la mano chi almeno una volta, o sul grande schermo, o in qualche ricorrente passaggio televisivo, non hai mai visto la saga cinematografica de La mummia, iniziata nel 1998, o un film come George re della giungla…?. Il protagonista era lo stesso, Brendan Fraser, 54 anni, che in quella parte di vita artistica, tra il finire degli anni ‘90 e l’inizio del nuovo Millennio, veniva giustamente considerato tra i sex symbol più importanti e appetibili per il box office. Bello, muscolare, ma anche bravo. Come lo era stato ancor prima in Demoni e dei di Bill Condon, in cui lasciava in disparte la propria fisicità e rivestiva i panni di un timido giardiniere, di cui si innamorava Ian McKellen, che lì interpretava il regista James Whale. Furono anni di successi, tra il pubblico soprattutto, ma anche per la critica. D’un tratto, come nelle peggiori cadute, arriva il declino: ruoli più secondari e deludenti, cattive recensioni, a cui si aggiungono le accuse di molestie sessuali, datata 2003, ma rivelate solo nel 2008, subite da parte dell’ex presidente della Hollywood Foreign Press Association (l’ente che assegna i Golden Globes), ovvero Philip Berk. Terra bruciata intorno, cosa lo mina nel fisico un tempo statutario, e che gradualmente si appesantisce, portandolo a essere isolato da Hollywood e da possibili, importanti, nuovi copioni. Ma si sa, l’America, il cinema stesso, è luogo di seconde occasioni, da portare nelle storie e in scena, ma anche da vivere sulla propria pelle, quale forma di riscatto, rivincita personale.

Ed è qui che subentra The Whale, pellicola presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia (in sala dal 23 febbraio, distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection), l’ultimo film diretto da Darren Aronofsky, già regista dell’acclamato Il Cigno Nero. Un autore mai sazio di speranza, di dar voce alle fragilità umane, provando a far riconciliare i suoi personaggi con loro stessi e gli altri, e che davvero investe nelle storie che racconta, trasformandole in lezioni universali, nelle quali convivono temi, drammi personali, redenzioni, finali a sorpresa, incredibili metafore, tra realtà e illusione, Un film, The Whale, che adesso alza il livello, perché nell’insieme un gioiello di emozioni, doloroso e bellissimo, tragico e riflessivo, toccante e profondo. Angusto, solo negli spazi nei quali prende forma, adattando meticolosamente un’opera teatrale scritta da Samuel D. Hunter, chiamato qui a sceneggiare.

Il personaggio principale è Charlie, Brendan Fraser, un professore universitario di inglese che, come vediamo, tiene lezioni a distanza ai propri studenti, ma non si mostra mai in telecamera. Lo fa per non essere giudicato, bullizzato in termini di bodyshaming, o addirittura deriso, visto che vive ormai da recluso in casa. La colpa? Un’obesità di 250 chili di peso portati, lo “stigma”, capace di allontanarlo da tutto e da (quasi) tutti. Soffre di cuore e gravi diagnosi, gli servono diverse medicazioni, cure, che riceve grazie alla compagnia di un’infermiera, Liz (la bravissima Hong Chau, candidata all’Oscar come miglior attrice non protagonista), l’unica, fino a quel momento, ad avere rapporti con lui. Intorno c’è solo l’interno del suo piccolo appartamento, il divano, il disordine, la tv, il pc munito di cuffie, ed il cibo alienante, tossico, malsano, ingurgitato senza sosta, come a volersi punire volontariamente per qualcosa che (non) ha fatto. Una mancanza, un vuoto, da colmare il prima possibile, ovvero il rapporto con la figlia Ellie (interpretata dalla rivelazione Sadie Sink, la “Max” di Stranger Things), adolescente, ribelle e arrabbiata, abbandonata a 8 anni. Una relazione ripresa in maniera ruvida, fredda, violenta, nella quale è lui a incassare, un confronto, che in un periodo di 7 giorni li mette l’uno davanti all’altra, provando a conoscersi davvero, a perdonarsi, prima della fine incombente.

Girato in meno di un mese, The Whale ci regala in primi un ritorno magico, da favola all’americana, quella di un attore considerato finito, dimenticato, isolato, proprio come il suo personaggio, ma che invece torna nel ruolo della vita. Un po’ come successe a Mickey Rourke in The Wrestler, altro gioiello dello stesso Aronofsky, in cui, anche lì, un padre e una figlia tentavano di ricucire le proprie ferite. «Gli esseri umani che hanno queste fragilità sono i veri esseri umani», ci racconta lo stesso regista.« Nel cinema c'è un posto per i supereroi, c'è un posto per i supercattivi, ma c'è anche un posto per l'umanità, per i personaggi reali, che in fondo sono una miscela di tutto ciò che noi abbiamo di bene e male. Penso sia importante avere personaggi reali, in situazioni reali, che affrontano l'onestà e tutti questi grandi problemi, perché è di fatto un esercizio per noi stessi, ci fa sentire così profondamente in sintonia come parte del pubblico, nel trovare personaggi che sono potrebbero i nostri vicini o noi stessi.

Intenso, appassionato, ingombrante, vero, e onesto, munito di una tuta-vestito prostetico (straordinario il lavoro del trucco), Fraser sa comunicare oltremodo tramite gli occhi, i pochi movimenti, il corpo che lo uccide, facendoci (ri)vedere finalmente l’attore che è stato. I muscoli di ieri, sono invece nelle emozioni di oggi. È il suo momento. Perché dopo la candidatura all’Oscar come miglior attore protagonista, si proietta ora verso qualcosa di impossibile, verso un sogno, la statuetta dorata, contesa con due dei favoriti, Austin Butler (in Elvis) e Colin Farrell (Gli spiriti dell’isola), a cui si aggiungono Bill Nighty (in Living) e Paul Pescal in Aftersun. «Charlie», racconta Fraser, «è un uomo che vive con un grande rimpianto, il suo tentativo di riconciliarsi con la figlia è molto breve. Ha paura pure della sua amica Liz, che lo insegue, lo blandisce, lo stuzzica, provvede a lui, ma gli permette delle cose. Il loro è un rapporto complicato, eppure in fondo tutti hanno bisogno l'uno dell'altro». Una notte, il prossimo 12 marzo, in cui potrebbe succedere davvero di tutto, ma nella quale, se anche non dovesse vincere, avremo una certezza: quella di un attore ritrovato e ritrovatosi, che riparte, si trasforma e può rinascere grazie al proprio talento.