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Che musica, Maestro. Bradley Cooper è un Bernstein intenso e commovente

Dopo "A star is born" Bradley Cooper "ritorna" al Festival di Venezia con la musica, anche in veste di regista

Andrea Giordanodi Andrea Giordano   

L’ultima volta, era il 2018, Bradley Cooper sbarcava al Lido insieme a Lady Gaga, dando vita (in presenza e sul red carpet) a uno dei titoli che poi avrebbero caratterizzato la Mostra, A Star is Born. Da quella passerella, iniziò la cavalcata agli Oscar in termini di nomination, la statuetta andata poi alla canzone Shallow, la consapevolezza di una protagonista assoluta, qui al vero debutto in un ruolo principale, e la bravura di un attore, diventato da allora regista.

La musica dunque, e quella sua opera prima, ce lo avevano mostrato da una prospettiva completamente diversa. Interprete sì, in quel caso, bello, selvaggio, distrutto dalla vita, ma che si mostrava anche meticoloso produttore (lo è stato di Joker) nonché, soprattutto, ottimo dietro la macchina da presa. A distanza di 5 anni ritrova ora la sfida grazie ad un progetto tra i più sentiti e attesi, Maestro, incentrato sulla figura e carriera del direttore d’orchestra Leonard Bernstein, e sul suo rapporto con Felicia Montealegre, interpreta qui dalla splendida Carey Mulligan.  

Impresa articolata, prodotta peraltro pure da Steven Spielberg, riassunta in ogni caso in un lavoro (lo si vedrà su Netflix dal prossimo 20 dicembre) da poco più di due ore, nelle quali ripercorriamo le diverse fasi della leggenda, nata a soli 25 anni, e che dal podio non è più sceso. Nel pantheon dei più grandi di ogni tempo, Maestro, titolo che ne riassume la grandezza e creatività, è in primis un racconto focalizzato sulla sua storia d’amore e matrimonio, caratterizzato da tre figli, Jamie (Maya Hawke), Alexander e Nina, diviso come fu tra casa e lavoro, ma anche da luci e ombre, e il sospetto, mai negato da lui stesso, riguardo la propria omosessualità, ben noto tra gli amici e collaboratori più stretti.  

La cosa che stupisce della pellicola, confezionata in uno splendido bianconero, con il colore, a rappresentare ad esempio il presente (quando Bernstein è già in età avanzata e viene intervistato), è appunto la capacità di immedesimazione, emotiva, fisica, nei tic, con la sigaretta perennemente in bocca, nella fascinazione del dirigere, nella tonalità della voce. Il genio, il personaggio, l’uomo, seguono allora un percorso comune, venendo travolti in certi casi dagli eventi, ma hanno ogni volta bisogno di essere rassicurati per poter proseguire. E accanto c’è sempre una donna che con lui condivide, ama, vede, sopporta, accetta, è consapevole, sa perdonare, e che alla fine lo ritroverà per l’ultima volta, al suo fianco, quando si ammalerà in maniera definitiva di tumore. Un connubio d’amore e rispetto, di condivisione e segreti, in grado di scandire interamente i passaggi della vita, da prodigio a veterano. Bradley Cooper, davanti al pianoforte, racconta di un’esistenza incredibile, e così fa dinanzi ad un pubblico in adorazione, dove, ad un certo punto, riuscirà nuovamente a toccare la sola anima che davvero ha contato per lui.

Andrea Giordanodi Andrea Giordano   
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