Gli attori italiani portano Netflix in tribunale. Di che cosa è accusata la piattaforma di streaming
La causa, che vede coinvolti tra gli altri anche Elio Germano e Neri Marcorè, verte sulla mancata corresponsione di un equo compenso per gli artisti
L'Agenzia 7607, che rappresenta oltre 3200 attori italiani tra cui Elio Germano, Claudio Santamaria, Paolo Calabresi e Neri Marcorè, ha finalmente portato Netflix in tribunale a Roma. La causa verte sulla mancata corresponsione di un equo compenso per gli artisti, come previsto dalla Direttiva Copyright dell'Unione Europea.
Il fallimento del dialogo
"Abbiamo tentato in tutti i modi di trattare", spiega la presidente dell'Agenzia 7607, Cinzia Mascoli, "chiedendo una percentuale che per loro è il costo delle bollette telefoniche, ma ci è stata offerta una cifra al ribasso". Un'offerta inaccettabile che avrebbe creato un precedente negativo per il futuro del settore.
Trasparenza negata
Al centro della controversia c'è la mancanza di trasparenza da parte di Netflix. "Non ci forniscono i dati di sfruttamento delle opere audiovisive, rendendo impossibile calcolare con precisione proporzioni e compensi", denuncia Neri Marcorè, uno degli associati dell'agenzia.
Sfruttamento e disparità
"Proprio le piattaforme che trattano e sfruttano dati si rifiutano, grazie al loro strapotere economico e contrattuale, di fornirci i dati previsti dalla normativa e di corrispondere conseguentemente i compensi agli artisti", aggiunge Elio Germano. "Parliamo di multinazionali che basano i loro interi ricavi sullo sfruttamento di opere audiovisive".
Davide contro Golia
La protesta degli attori italiani ricalca lo sciopero di successo degli attori di Hollywood. L'Agenzia 7607 si trova in una posizione di svantaggio rispetto al colosso americano. "Purtroppo in Italia non ci sono le 'union' come a Hollywood", sottolinea Mascoli, "e anche Agcom non si dimostra un arbitro attento".
La speranza di un cambiamento
La causa rappresenta un passo importante nella lotta per la tutela dei diritti degli artisti italiani. "Non possiamo accettare compensi irrisori", conclude Mascoli. "È tempo di ottenere il giusto riconoscimento per il nostro lavoro". La vicenda assume un valore simbolico per l'intera industria audiovisiva italiana. L'esito della causa potrebbe determinare un precedente fondamentale per il futuro dei compensi degli artisti nell'era digitale.