'Anatomia di una caduta', thriller ben fatto, dalle mille sfumature. Finale aperto? Anche no
Si potrebbe parlare di un film psicologico travestito da thriller. La mente umana è un labirinto di emozioni, azioni, pensieri. Tutto diventa complesso e di difficile interpretazione
Per coloro che non hanno avuto modo di vedere il film e hanno intenzione di farlo, sconsiglio vivamente questa recensione, forse un po'troppo di parte.
Procediamo con ordine. Sandra Voyter è una famosa scrittrice. Abita in una baita in montagna, vicino Grenoble, con suo marito Samuel e il loro figlio di undici anni Daniel, ipovedente, a causa di un incidente avuto all’età di quattro anni. Ad assisterlo un cane di nome Snoop, un border collie che lo aiuta nella vita quotidiana.
Una mattina come tante Sandra sta rispondendo alle domande di una studentessa, che vuole intervistarla per la sua tesi. A un certo punto si sente una musica molto alta provenire dal piano di sopra, dove suo marito lavora. Chiaramente l’intervista termina prima del previsto e la ragazza va via. Nel frattempo Daniel esce con Snoop a fare una passeggiata. Ma è proprio al suo ritorno che trova il corpo del padre, ormai morto sulla neve. Chiama disperatamente sua madre, che è in casa. Arrivano i soccorsi e inizia l’indagine. L’uomo è caduto dal secondo piano accidentalmente? Si è suicidato? Lo ha spinto Sandra?
Ad assistere la donna l’avvocato Renzi, un suo amico di vecchia data, chiaramente innamorato di lei. La vicenda si snoda tra perizie, il processo durante il quale si susseguono testimoni, un pubblico ministero molto preparato, e anche convinto della colpevolezza della moglie. Quello che emerge e sul quale la sceneggiatrice e regista Justine Triet, vuole porre attenzione, è proprio la dinamica della coppia. Lei è una donna di successo, bisessuale, che ha tradito suo marito alcune volte. Lui è uno scrittore mancato, che ha buone idee, una delle quali accusa sua moglie di avergliela rubata, ma non ingrana. È scontento della sua vita e si ipotizza abbia tentato di suicidarsi in passato. Oltretutto porta addosso il peso dell’incidente di suo figlio. Non andò lui a prenderlo a scuola, perché troppo preso dal lavoro, e mandò la babysitter. Ovviamente tra marito e moglie il figlio diventa argomento di conflitto acceso.
Con l’avanzare del processo Daniel si allontana da sua madre, per la paura di scoprire il suo coinvolgimento. Ma poi si riavvicina nella parte finale. Sandra viene assolta, e può ricominciare la sua vita. Ma ne è sollevata? Ovviamente no. E il film termina con una scena molto forte emotivamente. Lei è distesa con accanto Snoop, che comprende il suo stato d’animo e le sta vicino.
Gli attori sono assolutamente bravi nella loro interpretazione.
Sandra Huller, la protagonista, capace di esprimere uno stato d’animo che varia dalla tranquillità, alla freddezza, al panico. Una espressione che non lascia dubbi. Anche Swann Arlaud, l’avvocato, e soprattutto Milo Machado Graner, un eccezionale Daniel.
Si potrebbe parlare di un film psicologico travestito da thriller. La mente umana è un labirinto di emozioni, azioni, pensieri. Tutto diventa complesso e di difficile interpretazione.
Essere una coppia è difficile. Lo diventa ancor di più quando si ha un figlio con problematiche causate da una presunta responsabilità di uno dei genitori. Non ci si può esprimere sulla vincita dell’Oscar per la migliore sceneggiatura originale, che è stata sicuramente valutata attentamente. Tuttavia non scoprire con certezza come si siano svolti i fatti, e restare con tanti dubbi, lascia un senso di amaro in bocca, poco piacevole.