Virginie Efira entra nel pantheon delle attrici francesi: "Quella sera in cui Catherine Deneuve mi ha lasciata senza fiato"

Molto applaudita a Venezia per "I figli degli altri", in uscita il 22 settembre, l'attrice belga naturalizzata francese è in verticosa crescita: "Si può essere madri in tanti modi"

All’ultima Mostra di Venezia è stata tra più applaudite, al punto che insieme a Cate Blanchett (poi vincente), Ana de Armas e Trace Lysette, si era candidata tra le migliori papabili a vincere la Coppa Volpi. Non un caso se la si conosce. Perché Virginie Efira, attrice belga, naturalizzata francese, si è ormai issata nel pantheon delle attrici di Francia maggiormente rappresentative, e lo ha fatto in poco tempo, guadagnandosi il rispetto di molti grandi autori: da Paul Verhoeven, che l’ha voluta accanto a Isabelle Huppert in Elle, e soprattutto nello scandaloso Benedetta (nei panni di una suora lesbica ispirata nel XVII secolo) fino al recente La doppia vita di Madeleine Collins, e a Rebecca Zlotowski. L’occasione arriva proprio dal quinto film della regista parigina, I figli degli altri (in sala dal 22 settembre, distribuito da Europictures), passato in concorso proprio al Festival.

Una storia luminosa, mutevole, inedita, nella quale interpreta Rachel, insegnante di lettere in un liceo, innamoratasi del suo insegnante di chitarra, Alì (l’ottimo Roschdy Zem), padre a sua volta di una figlia, Leila, di 4 anni. Un incontro d’amore che segna anche l’inizio di un rapporto materno, nonostante la piccola abbia già una madre, ma che scatena in lei il desiderio di costruirsi una sua di famiglia. Un percorso in evoluzione dove, da donna, imparerà a conoscersi ulteriormente.

La differenza, in un film, spesso viene dalla storia e da chi la dirige: è stato così anche per lei in questo caso?

Seguo Rebecca dal suo primo lavoro, Belle épine, è un tipo di regista che ti dà gli strumenti perfetti, mi ha suggerito alcune pellicole con Diane Keaton, tipo In cerca di Mr. Goodbar e Spara alla luna. Quando però rivedo tutto mi commuovo, perché riconosco che c’è qualcosa di me in questo personaggio, cose simili successe nella mia vita e nel modo in cui mi relaziono con il mondo: parlo di profondità, è un flusso di emozioni, di una solitudine che affascina. Se accade ogni cosa diventa semplice, capisci che ciò che ha vissuto Rachel è lo stesso che è capitato a te, e che ho dentro.

Dunque il cinema può diventare molto personale

Una vera esplorazione dell'inconscio, assolutamente, mi riferisco all’essere stata rifiutata dagli uomini, ad aver fatto per molto tempo la matrigna, insomma conosco questo tipo di relazione. La cosa particolare è che io e, la protagonista, Rachel, abbiamo pure la stessa età, 45 anni. Non è incredibile? Me lo chiedevo durante le riprese, forse sì, forse no, sicuramente è vicina a me, ma in realtà lo sono tutti i personaggi che interpreto, ognuno è più grande di quanto pensi, e alla fine ti rendi conto che avresti potuto percorrere quella strada. Recitare, abbracciare certe storie, risuona talvolta con le scelte che hai fatto, al punto che hai l’impressione che sia la tua vita.

Cosa le piace del suo lavoro?

Il mistero. Mi piace imparare guardando le carriere di attrici importanti, come Nicole Kidman o Jean Moreau, artiste in grado di andare oltre una mera interpretazione, perché sanno assimilare. Con loro non è mai lo stesso film. Io invece ho cominciato relativamente da poco, avevo 33 anni, ma ho visto mutare l’industria, dividendomi tra piccole e grandi produzioni, passando dalla magia del grande schermo, ad osservare il fenomeno delle piattaforme.

Se pensa alle sue svolte d’attrice cosa le viene in mente? Benedetta è fra queste?

Mi sono detta, “posso fare del nudo”, ed è andata, ma non ha significato però uno stravolgimento totale del mio lavoro. Altri titoli sì, tipi Tutti gli uomini di Victoria di Justine Triet: forse è poco conosciuto, eppure dopo averlo interpretato, in un attimo, mi sono ritrovata tanti copioni drammatici, prima ne ricevevo per commedie. O in Revoir Paris, ambientato durante gli attentati terroristici di Parigi (presentato all’ultimo Festival di Cannes, ndr), dove lì ha significato lavorare con una regista donna, Alice Winocour, bravissima com’è a porre il suo sguardo sul contemporaneo. Vede, ciò vuol dire trasmettere dignità, onestà, mi interessa tanto. Se trovo tutto questo, “giocare” diventa più facile.

Torniamo a I figli degli altri. Qui si affronta un tema cruciale: ovvero il fatto che le donne non possono diventare madri, se non hanno figli. Come se lo spiega che esista ancora un tabù del genere?

Penso che questi siano i resti di un imperativo assurdo, posto sulle nostre spalle per tanti secoli: “non sei una donna a tutti gli effetti a meno che tu non abbia un figlio”. Le cose sono cambiate, ma in una certa misura, e abbiamo ancora questi piccoli rimasugli che  ogni tanto rendono una donna in qualche modo incompleta se non partorisce. C'è qualcosa che manca, ma è un concetto sbagliato: il film affronta oltremodo il tema della trasmissione, del trasmettere ciò che è tuo che è naturale nella gravidanza, ma mostra che può essere fatto in molti modi diversi.

Riesce a immaginare una vita senza figli?

Adesso no, perché sono madre, ho un figlio. Se non fosse accaduto, avrei avuto molti amici con me

Nella stessa edizione di Venezia sono arrivate Catherine Deneuve, Leone d’Oro alla carriera, Isabelle Huppert, e lei, che da tempo è considerata ormai una delle migliori attrici francese. Che sensazione ha provato?

Se partecipi ad un grande Festival è quasi normale poter vedere attrici come Cate Blanchett, Julianne Moore, o loroDi Catherine Deneuve non amo solo come sa recitare, ma anche come parla, la sua schiettezza. Mia figlia, che ha 9 anni, ha visto alcuni suoi primi film, ed io nel mio appartamento ho i poster di Repulsion, o de La favolosa storia di Pelle d’Asino. Isabelle Huppert è assolutamente un’altra cosa, è affascinante il modo in cui si estranea da se stessa.

Si è sorpresa del percorso che ha fatto finora?

"No, so quanto ho faticato, conosco il mestiere e cerco di farlo al meglio. Quando era una bambina, correvo al  Festival di Cannes, guardando i tappeti rossi, le star, ma non mi immaginavo che ne avrei fatto una piccolissima parte". E ancora torna la Deneuve: "una sera ero ad una cena, in lontananza la vedevo fumare, elegante, sicura, bellissima mi sentivo timida, avrei voluto manifestarle tutta la mia ammirazione. Ed invece è stata lei ad accorgersi, mi è venuta incontro, dicendo cose fantastiche sul mio lavoro. Il tempo di riprendermi, ed era andata via, ecco non ho ma avuto modo di ringraziarla ed esprimerle quanto sia stata importante invece lei nel mio di percorso.