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Pierfrancesco Favino, se la legge del mare che prevale su quella miliare: "Siamo italiani"

Intervista con l'attore e il regista dell'atteso film "Comandante", ambientato durante la seconda guerra mondiale e presentato in apertura al Festival di Venezia

Andrea Giordanodi Andrea Giordano   
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L’eroismo senza macchia di Salvatore Todaro, Comandante del sommergibile Cappellini della Regia Marina che, nell’ottobre 1940, salvò 26 naufraghi belgi (prossimi ad allearsi poi con l’Inghilterra nemica), è in fondo lo stesso di Pierfrancesco Favino, chiamato ad interpretarne le gesta, facendoci immergere in una nuova e personale sfida attoriale.

Sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale, mentre navigava attraverso l’Oceano Atlantico, Todaro, visto un mercantile, il Kabalo, a luci spente, decide di fare fuoco, affondandolo. Ma invece di lasciare al proprio destino gli occupanti, in balia delle onde, li prese a bordo, facendoli sbarcare nel primo porto sicuro, nella baia di Santa Maria delle Azzorre. Lo fece dando retta alla propria coscienza, mettendo a rischio sé stesso e l’equipaggio italiano, seguendo le leggi del mare: non abbandonare, ma semmai tendere la mano. Edoardo De Angelis, il regista, supervisionato nella sceneggiatura da Sandro Veronesi (insieme hanno scritto anche un libro omonimo alla vicenda, edito da Bompiani), fanno il resto, mostrandoci una storia di coraggio e forza, di solidarietà civile, universale e moderna nei temi. Comandante (uscirà il 1° novembre, distribuito da 01 Distribution) apre così la Mostra di Venezia, narrandoci d’onore, orgoglio, patriottismo, inclusione, vicinanza umana. Quella manca ad una certa politica nostrana.

Il protagonista però è sempre lui, Favino. Sua è l’ennesima rotta da esplorare, in cui, al di là del calarsi perfettamente nel personaggio, lo diventa proprio, nelle sembianze, nel linguaggio, in una capacità di mimetizzazione, dote rara di pochi. Ma come fa ogni volta, gli chiediamo, qual è la spinta? “Io”, ci racconta, “penso che la scrittura ti suggerisce, a te, essere umano, delle condizioni di empatia nei confronti di questi esseri umani, che poi vado a rappresentare. Mettersi nei loro panni significa patire insieme a loro, rendersi conto che l’essere umano, messo in determinate condizioni, può, e deve affrontare, o evitare, delle situazioni emotive che ci riguardano tutti. Siamo tutti naufraghi, abbiamo tutti bisogno di essere salvati, e abbiamo anche l’opportunità di salvare. Io lo penso di qualsiasi storia”. Non stupisce quindi, anche quando durante il film lo stesso Todaro-Favino pronuncia una delle battute chiavi sul salvataggio, “perché siamo italiani”, che lui stesso ne sia il simbolo incontrastato del mondo. È lui la vera star internazionale in una edizione dove, per le ragioni legate allo sciopero del sindacato attori americani, molti non ci sono.

Ma Comandante è anche una estensione del suo modo di interpretare il lavoro d’attore, seguendo non solamente indicazioni, ma una morale ben precisa, la stessa che gli permette di dare verità e spessore ad ogni volto che indossa. A Venezia lo vedremo tra qualche giorno sdoppiarsi anche in Adagio di Stefano Sollima, per ora ce lo godiamo al meglio in quelle movenze da condottiero appassionato e silenzioso, che ne caratterizzano da tempo la storia persona d’artista, e che qui rendono onore al vero Todaro, innescando un ponte tra passato e presente, e qualche riflessione. “L’importante è chiedersi cosa ci rende umani cosa ci rende forti, cosa ci rende italiani”, chiude il regista. “Mi definiscono in quanto individuo che aspira alla forza, forza che intendiamo nel correre in soccorso di chi è più debole”.

Andrea Giordanodi Andrea Giordano   
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