Montage Of Heck: spettacolare e intimo, Kurt Cobain mai raccontato così

Nessuno lo voleva. Una intera generazione lo adottò, facendone il suo fratello maggiore fragilissimo e prediletto. A oltre vent'anni dalla morte di Kurt Cobain esce (28 e 29 aprile, come evento speciale al cinema, con distribuzione della Universal Pictures) Montage Of Heck. Quello che è stato definito come il film documentario più sentito, completo, spettacolare e allo stesso tempo intimo sulla cometa musicale che mandò nel Nirvana la grunge generation o poi decise di spegnere all'improvviso tanto fulgore con una fucilata alla bocca. Il film contiene anche il brano inedito Rain Forest.
"Solo un adolescente che non ha mai sc....o" - Buio. E dolore, smarrimento. Chi scrive ricorda bene cosa significò per i ventenni la notizia del suicidio di Kurt, mentre il crollo borsistico della lira, quello di Wall Street che decretava la fine del primo tempo del yuppismo rampante anni Ottanta, l'ondata di disoccupazione e la prima guerra del Golfo diffondevano ombre e paure su un mondo che si risvegliava dalla sbornia edonistica del decennio precedente. Kurt e i Nirvana erano potenti come una punk band, abrasivi come il rock vuole, ma allo stesso tempo profondamente intimisti. Come se Luigi Tenco venisse accompagnato dai Germs o dai Pixies più nervosi. Il suono e la voce di una generazione dolente, che sotto i capelli che tornavano ad allungarsi e i camicioni di flanella aveva sogni grandi, molta rabbia autolesionista e una enorme voglia di poesia che la abbracciasse. Grunge kids. In tempi già feroci, in cui cominciava a prepararsi la serie di bolle speculative che hanno portato all'implosione finanziaria del 2007. Brett Morgen, regista fra i più personali degli ultimi anni (il suo splendido On The Ropes, sulla box minore, è stato nominato agli Oscar nel 2000) presenta il suo viaggio (132 minuti) dentro il mondo di Kurt. Con una ricchezza di materiali e una fantasia visiva (che include l'uso dei cartoon) che paradossalmente forniscono un grande scavo nell'anima dell'artista scomparso. Che di sé diceva: "Ero un ragazzino sottosviluppato e immaturo che non sc....a mai".
La rabbia di chi è umiliato - E dunque vai con questo monumentale, coloratissimo e allo stesso tempo cupo film su quello che è stato prima di tutto e sempre un rifiutato. Tutta la prima parte del film svela il disastro familiare, il rimbalzare di Cobain fra una madre che lo lasciò al padre, il quale si risposò e lo mollò, mettendolo nelle mani alternate e sempre scarsamente convinte di zii e nonni. Questa l'infanzia, questa l'adolescenza, punteggiata dalle prime bozze di canzoni alla chitarra, dai disegni e dai guai allo stomaco. Che sarebbero peggiorati col tempo. E' l'America di provincia, quella che ha il sogno a stelle e strisce a fianco a casa ma resta fuori da quella porta, a guardarlo in giardino, esclusa. E' la rabbia e il talento che diventano Nirvana, dalle piccole sale prove di Aberdeen (Usa) e dintorni ai grandi tour mondiali. E' l'angelo magro e fragile che diventa mito e contro quel mito, quel gigantismo, si schianta. Probabilmente avrebbe solo voluto avere una vera famiglia, e ci provò. Con l'odiatissima (dai fan e dagli altri Nirvana) Courtney Love, la piccola Frances Bean, l'idea sballata di passare i giorni mezzi nudi a casa, a farsi e rifarsi, riprendersi con la videocamera, dipingere, maneggiare in modo tenero e malderstro la piccola, rischiando spesso di farle del male. Crescevano le copie vendute, i soldi guadagnati, aumentavano la dipendenza tossica e i dolori allo stomaco. Fino a quello sparo nel buio. A tappare la bocca al bambino perso a nuotare sott'acqua, alla ricerca di una libertà con cui quel dollaro preso all'amo non aveva niente a che fare. Nevermind. E sipario.