Nell'omaggio di Martone, tutto ciò che non sapete di Massimo Troisi che "non pensava affatto di morire"
L'attore e regista il prossimo 19 febbraio avrebbe compiuto 70 anni. L'omaggio intenso di Mario Martone è "Laggiù qualcuno mi ama", in sala il 19 febbraio in alcune città, e poi dal 23 in tutte
Quaggiù, qualcuno (anzi molti), lo continuano ad amare ed osservare. Come attore, regista, artista, uomo, anima. E non si smetterebbe di scoprirlo, neanche dopo questo momento in cui giustamente tanti lo stanno celebrando, perché “il cinema di Troisi era bello, perché aveva la forma della vita”. Massimo Troisi, il prossimo 19 febbraio avrebbe compiuto 70 anni, e probabilmente lo avrebbe fatto alla sua maniera, senza prendersi troppo sul serio, attraverso humour, battute, stile inconfondibile, unico, la parola che per lui non è per nulla esagerata, un fuoriclasse, se pensiamo a cosa è riuscito a fare.
L’omaggio di Martone
All’ultima Berlinale arriva così un omaggio intenso, una lettera d’affetto, riconoscenza e amicizia, che gli fa un altro grande autore qual è Mario Martone. Il titolo, Laggiù qualcuno mi ama (doppiamente in sala, il 19 febbraio in alcune città, e poi dal 23 in tutte, distribuito da Medusa Film e Vision), che rimanda solo per un attimo al film con Paul Newman, “Lassù qualcuno lo ama”, trasuda invece di tante cose. Si spinge affettuosamente e in maniera originale, nell’indagare in maniera sfaccettata la sua poetica, tra documenti inediti, audi, appunti ritrovati, interviste, spezzoni di film, riflessioni, filosofie personali, e quei mantra iper riusciti, a partire da “Ricomincio da tre”, opera prima geniale dietro la macchina da presa. Un mondo di risate e commovente, in cui Martone ci fa da guida appassionata.
Troisi e il paragone, da alter ego, ad Antoine Doinel, l’attore prodigio de I quattrocento colpi, e poi diventato feticcio, di François Truffaut, uno dei maestri immortali della Nouvelle Vague francese. Un uomo, che è nello stesso tempo personaggio, capace, fin dagli esordi, nel fare differenza rispetto agli altri. Dal teatro sperimentale, alla nascita del gruppo La Smorfia, insieme a Lello Arena ed Enzo De Caro, il debutto da regista, Troisi è nello stesso tempo evocativo di un tempo perduto, e poi diventa moderno, contemporaneo, quasi come i quasi 30 anni dalla scomparsa non pesassero sulle spalle e dentro. Riparla e risuona la sua voce, succede per merito degli archivi tv, e grazie ad Anna Pavignano, prima compagna, e contemporaneamente storica collaboratrice delle sue sceneggiature, la quale apre il cassetto di ricordi, rimette in moto testimonianze preziose. Sono parole, di nuovo nell’aria, attraverso vecchie registrazioni, nastri personali su musicassette, o negli appunti. Piccoli, grandi, frammenti di memorie, lette, tra gli altri, da Toni Servillo, Silvio Orlando, Favino, in cui emerge un Troisi oltremodo rigoroso e di spessore umano, per nulla “svagato”.
Le canzoni dell’amico Pino Daniele
Sui tanti momenti aleggiano le canzoni dell’amico fraterno Pino Daniele, Je so’ pazzo, “Quando”, e i contributi appunto di coloro che ne parlano ammirati, in debito. Come Paolo Sorrentino, che da ragazzo gli aveva scritto una lettera per poter lavorare con lui, e che qui sottolinea quanto “mi abbia sempre influenzato” e “fosse meraviglioso anche nella sua lentezza dei movimenti, per i finali inattesi, per il confine tra comico e l’esplorazione dei sentimenti umani, o le scene che avrebbe voluto girare”. E poi ancora altri appaiono e condividono: Francesco Piccolo, Goffredo Fofi, Ficarra e Picone, o il compianto Ettore Scola, che lo diresse in Splendor, Che ora è, per cui conquistò la Coppa Volpi per il miglior attore alla Mostra di Venezia, e Il viaggio di Capitan Fracassa nei panni di Pulcinella.
“Laggù qualcuno mi ama” ci porta però a conoscerlo in profondità, nell’infanzia a San Giorgio a Cremano, negli spettacoli teatrali, negli incontri di vita, nel suo cinema, da Scusate il ritardo, Non ci resta che piangere, Le vie del Signore sono finite, a Pensavo fosse amore...invece era un calesse, o nei gesti e in quel proprio linguaggio comunicativo. Fino al testamento spirituale e artistico, Il Postino, diretto da Michael Radford, per il quale fu candidato all’Oscar come miglior attore su cinque nomination e sceneggiatore, vincendo la colonna sonora (che Troisi non sentì mai) scritta da Luis Bacalov. Un film straordinario, malinconico, in cui vita, ancora, poesia, bellezza, addi, coincidono, e che finì di girare il giorno prima di morire, stroncato da un infarto. Troisi e quel suo cuore malato, operato una prima volta a New York, e di cui scorriamo la sua agenda personale di allora, è rimasto pulsante contro un destino beffardo.
«Troisi», ci racconta Martone, «decise ad un certo punto di scommettere su un futuro possibile, non pensava affatto di morire, pensava a tutti i Natali, le Pasque che sarebbero venuti, si proiettava in avanti. E poi questa sua morte improvvisa lo proietta nel mito, ne fa, quasi fosse un semidio. C’è anche l’uomo, e quello mi manca molto. Non dobbiamo avere rimpianti, ha avuto la possibilità di esprimere la sua poetica pienamente. Cinema e vita sono intrecciati, è molto il caso di Troisi: questa vita prendeva forma, ma non bastava mettere una macchina da presa, ci vuole un interrogarsi, e lui lo faceva con grande rigore.
Se oggi Massimo vedesse questo lavoro? «Mi piace pensare che ne sarebbe contento. L’ho fatto con molto amore, e anche sulla base di alcune cose che c’eravamo detti, ci siamo conosciuti purtroppo per un tempo breve, sufficiente da essere intenso. A me è sembrato importante il cinema di Troisi, non soltanto come comico, attore, ma come regista, lui lo sentiva molto, questo aspetto gli stava a cuore. Quindi spero, ovunque sia, che possa essere contento di questo film».