Il vergognoso linciaggio di Asia Argento. Dopo la violenza anche gli insulti

Crocifissa. Chiodi, legno e vai di martello. Colpo su colpo. Insulto su insulto, accusa su accusa, pregiudizio su pregiudizio. Questa è l’incredibile e vergognosa sorte toccata ad Asia Argento in Italia, Paese che un tempo era culla del diritto ma che oggi sembra in balìa soltanto del malevolo pregiudizio, decisivo nel colpevolizzare la vittima, specie se donna, specie se bella e famosa. Il suo coraggio nel denunciare l’orco di turno nelle vesti potentissime del produttore americano Harvey Weinstein non solo non è stato apprezzato. Ma anzi si è trasformato in un boomerang di maldicenze e di giudizi affrettati.
Le dure parole di Natalia Aspesi
Passino i commenti acidi da social, passino gli insulti a colpi di “troia” e di “cagna” di cui riecheggiano i commenti a piè pagina degli articoli scritti da tutti i siti di informazione su questa dolorosa vicenda. Ciò che però colpisce e ferisce più di tutto è la condanna anche da parte di paladine del femminismo e della parità di genere. A cominciare dalla giornalista Natalia Aspesi che interpellata da Malcom Pagani su Vanity Fair ha dichiarato: “In queste accuse c’è un’insincerità di fondo. Sono un lamento tardivo. Un coro che non tiene conto della realtà dei fatti. Che i produttori, almeno da quando ho memoria di vicende simili, hanno sempre agito così. E le ragazze, sul famoso sofà, si accomodavano consapevoli. Avevano fretta di arrivare. E ancor più fretta di loro avevano le madri legittime che su quel divano, senza scrupoli di sorta, gettavano felici le eredi in cerca di un ruolo, di un qualsiasi ruolo”. E ancora: "La rappresentazione ecumenica, irrealistica, quasi angelicata di questi incontri. Il mostro da una parte, l’agnello sacrificale dall’altra. A quanto leggo, Weinstein non concedeva normali appuntamenti professionali, in ufficio, con una scrivania a dividere ambiti e intenzioni. Non parlava di sceneggiature. Chiedeva massaggi. E se tu chiedi un massaggio e io il massaggio te lo concedo, dopo è difficile stupirsi dell’evoluzione degli eventi”. Non una parola di comprensione. Non una parola di ammirazione perché, si sa, parlare di abusi sessuali è spinoso e difficile. L’attenzione generale non ricade mai sul porco, sul profittatore, sull’uomo, su chi ti mette in difficoltà, su chi non ti rispetta, su chi approfitta della sua posizione di vantaggio e di potere, su chi non ti dà scelta. No. Il comportamento maschile è dato per acquisito. Un dato di fatto che da che mondo è mondo si accetta così. Immodificabile e, nemmeno, da deprecare. Il fatto che certe accuse vadano provate, che Monica Lewinski riuscì in qualche modo a stare a galla solo perché ebbe l’accortezza di conservare il vestito sporcato dalle voglie di Bill Clinton, che la prima cosa che una donna stuprata si sente domandare in un interrogatorio è “come eri vestita?” con il sottinteso “te la sei andata a cercare”, sono dettagli poco importanti. Così come che l’essere aggredita e il trovarsi in difficoltà traccino dei solchi profondi nella psiche di chiunque. La vittima per prima è portata a vergognarsi, a odiarsi, a sprofondare in sensi di colpa e in una paralisi esistenziale, che a volte sfocia nella depressione e perfino nel suicidio. Tutto ciò non interessa al tribunale del popolo né alla curiosità morbosa di tanti lettori che si soffermano sui dettagli più piccanti della violenza.
La condanna di Vladimir Luxuria
Anche Vladimir Luxuria è intervenuta nella vicenda e anche lei ha puntato il dito contro Asia Argento: “AsiaArgento avrebbe dovuto dire no a Weinstein come hanno fatto altre attrici. Le donne devono denunciare lo diceva lei ad “Amore Criminale”, ha scritto l'ex parlamentare su Twitter. Poco dopo è arrivata la risposta dell'attrice: “Non posso credere che scrivi una cosa del genere. Evidentemente non sei mai stata violentata, non hai mai provato terrore e vergogna”. E ancora: “Allora avevo 21 anni ed ero terrorizzata”. E poi il tweet più amaro: “Ho denunciato uno stupro e per questo vengo considerata una troia in Italia”. Asia Argento in questi giorni ha disperatamente e sconsolatamente cercato di spiegare: “Il fatto di non averlo respinto fisicamente mi ha fatto sentire responsabile. Se fossi stata una donna forte mi sarei ribellata, gli avrei tirato un calcio e sarei scappata via. Ma non l’ho fatto. Per questo mi sento colpevole”.
La difesa di Teresa Ciabatti
E oggi finalmente c’è chi prende parola per difendere l’attrice da questo linciaggio. È il caso, ad esempio della scrittrice Teresa Ciabatti che sul Corriere della Sera scrive: “Bisogna saper accettare le volte che per paura siamo rimaste ferme lì: che tu sia forte, fragile, e coraggiosa come Asia, possiamo augurare alle nostre figlie. Sperando che riescano a mettersi di fronte allo specchio e definirsi da sole. Cattive, buone, perdute, tenerissime, pazze, adulte, piccolissime, “quando ero davanti a lui mi sentivo piccola, stupida e debole”.
Mentre lo scandalo che ha travolto il produttore di Hollywood si allarga e perfino Jane Fonda ammette: "Mi vergogno perché sapevo e sono stata zitta", spiegando che "parlare è molto, molto, molto difficile", viene in mente una vecchissima canzone di Renato Zero, da sempre profondo conoscitore dell'animo femminile e grande accusatore della situazione in cui ancora le donne sono costrette a vivere. In quel pezzo, intitolato "Santa Giovanna", cantava: "Quanta paura ti fa,Quello che il mondo dirà Quell'etichetta, non c'è via di mezzo: è pettegolezzo, è mania. Sgualdrina, lesbica, o figlia di Maria! La gente sa. Ma che ne sa?". Già. Ma che ne sa?