Ana de Armas e la strepitosa interpretazione di Marilyn: "Ho avvertito il suo spirito: ecco cosa ho imparato da lei”

Una bambina non voluta. Una donna, divisa tra amori e dolori, tra pressioni e fragilità ma anche una star destinata a diventare leggenda e oggetto del desiderio: L'ex Bond Girl non interpreta la Monroe, diventa lei

Una bambina non voluta. Una donna, divisa tra amori e dolori, tra pressioni e fragilità.

Una star del cinema, diventata leggenda assoluta, oggetto del desiderio, ispirazione contemporanea, che riguardo la celebrità disse la frase migliore “essere famosi è come andare verso nell’inconscio degli altri, le persone interagiscono non con te, ma con la fantasia che hanno di te”. Il mito di Marilyn Monroe rivive adesso in Blonde, la pellicola diretta da Andrew Dominik targata Netflix (arriverà su piattaforma il 28 settembre, prodotta in maniera importante anche da Brad Pitt) regalando una delle interpretazioni più belle viste alla Mostra del Cinema di Venezia, quella di Ana de Armas. L’ex Bond Girl di No Time To Die non interpreta solo la Monroe, diventa lei. Riduttivo sarebbe parlare di svolta, l’attrice di origine cubana, fa qualcosa di impossibile, trasformandosi fisicamente, nell’accento, nelle movenze, lasciando traccia empatica dal primo all’ultimo minuto. Non è un biopic forzatamente cronologico, Blonde segue semmai l’’adattamento omonimo del libro scritto da Joyce Carol Oates, che ne tratteggia, in maniera anche re-immaginata, alcuni momenti chiave, a partire proprio dall’infanzia.

La vita di Norma Jean Baker, il suo vero nome, nel film inizia nel 1933, a Los Angeles, a 7 anni.

Abita insieme alla madre (il padre rimarrà sconosciuto, nonostante le tante voci, vere o presunte), la quale però le rinfaccia di essere venuta al mondo, prova addirittura ad affogarla. Una madre malata, insofferente all’essere rimasta sola, perde il controllo, affetta da schizofrenia, disturbo che la porterà poi a essere rinchiusa in un ospedale psichiatrico, con la figlia abbandonata in orfanotrofio. È un attimo: l’emblema femminile per eccellenza è ormai una giovane donna alle prime armi, prova a intraprendere il percorso artistico della recitazione, si divide tra provini, lezioni, incontri con produttori squallidi e intenti solo ad abusarne il corpo.

Ma se Marilyn è “tutto quello che abbiamo sempre desiderato, dice il regista”, bellezza, successo, fama”,

Norma Jean è un essere in costante ricerca della sua felicità, amante di piccoli momenti personali, che fuori, all’interno del Sistema Hollywood, deve combattere contro il pregiudizio di chi la vede solo bella (una maledizione?) e priva di talento, l’errore più grave. Quella che allora Ana de Armas mette in scena, è una figura straordinaria, quanto tragica (gli aggettivi ne descrivano l’ascesa e caduta terrena) a trasmettercela nei diversi passaggi della propria vita: dal legame burrascoso col primo marito, l’ex giocatore di baseball Joe DiMaggio, al secondo, quello con lo scrittore e drammaturgo Arthur Miller, il tutto intervallato dal rapporto ambiguo, d’amore e sesso (nella realtà non è chiaro se fu davvero così) con due dei figli di Chaplin, Charlie “Cas” Chaplin Jr. e Sidney, tanto da vedere i titoli dei giornali scrivere di loro “eccoli nel ménage à trois”. C’è John Kennedy, non la scena famosa del “Happy Birthday Mr. President”, ma un’altra più spinta e denigratoria nei suoi confronti, c’è la lenta autodistruzione, la celebrità ingombrante, i mass media. Ma, poi, c’è soprattutto l’ambivalenza tra il privato e il pubblico, tra la donna desiderosa di diventare madre (una maternità negata dagli eventi e tre aborti) e l’icona da grande schermo di A qualcuno piace caldo e Gli uomini preferiscono le bionde, che forse voleva solo vivere e inseguire la propria normalità.

 “Sono semplicemente una bionda”, risponde lei, nel film, ai parenti italo-americani di DiMaggio.

In verità Marilyn ha rappresentato tutto, (in)consapevole, sia da viva, che dopo, che sarebbe trasfigurata in altre generazioni rimanendo ferma nel tempo, morì di overdose di farmaci a 36 anni nel 1962, e che dopo esattamente 60 anni non smette di affascinare sul proprio modo di osservare il mondo, sulla capacità di essere diversa, in termini di unicità rispetto alle altre, di tratteggiare un universo luminoso e malinconico di sentimenti e contrasti.

Norma Jean e Marilyn Monroe trovano il loro equilibrio alimentandosi l’una nell’altra, rappresentando, ancora adesso, l’esempio di una donna dotata di più livelli e sguardi, coraggiosa, divisa tra l’adulazione del pubblico, maschile e femminile, e il prenderne distanza. Amata e ammirata, indifesa e forte, rivoluzionaria in egual modo.

 «È stato un processo di apprendimento molto lungo e immersivo, ma non ne ero consapevole», racconta

Ana de Armas, tra le favorite alla Coppa Volpi «Per me è stata una grande coperta, scandita da un lavoro, che mi ha portato ad esplorarla nell’intimità, a cineprese spente. Volevamo avere dettagli, e lo spazio per creare la donna reale dietro a quel personaggio, penso fosse con noi sul set, ne abbiamo sentito la presenza, era nell’aria, aveva la mia stessa età. Quando ho accettato il progetto sapevo che avrei dovuto aprirmi, ed arrivare in alcuni luoghi di grande vulnerabilità, oscuri. Ed è lì che ho trovato il mio collegamento, la sua verità emotiva».