Profondo Rosso, la paura fa 50: storie e retroscena di come è nato un capolavoro con musiche "cult"
Dario Argento scriveva La tigre dai denti a sciabola, poi insoddisfatto buttò via e rifece tutto, aiutato da Zapponi e dai Goblin. Fu shock, successo e mito

La tigre dai denti a sciabola andò subito male e finì velocemente in un cassetto. Mentre terminava di girare Le cinque giornate, il suo insolito film storico che nel cast aveva anche Celentano, Dario Argento pensava già al film successivo. Il regista veniva da una trilogia di successi (due su tre, almeno) che aveva rilanciato il thriller violento all'italiana con uno stile nuovo, teso e insolito. Ed era una trilogia dai titoli animali: L'uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code, 4 mosche di velluto grigio. A 35 anni e nel pieno della fama, Argento pensava al prossimo film ma il titolo La tigre dai denti a sciabola non lo convinceva per niente. Da lì nasce una piccola grande rivoluzione del cinema italiano, e nel 1975 debutta Profondo Rosso. Un film dal successo incredibile fin dalla sua prima uscita, il 7 marzo 1975 al cinema Capitol di Milano. E un'onda che non si è mai fermata in questi 50 anni, andando ad abbattersi come uno tsunami thriller-horror sul resto del mondo.
Parola d'ordine: scuotere i nervi del pubblico
Pur fra mille critiche, dibattiti feroci, riserve per come mostrava la violenza e immergeva gli spettatori e le spettatrici in due ore di autentico fiato sospeso, Profondo Rosso andò subito benissimo. Tre miliardi di lire incassati solo in Italia, campione assoluto dalle nostre parti per poi proseguire con altrettanto successo all'estero. In Giappone arrivò dopo l'exploit del film successivo di Argento, Suspiria, tanto che fu lanciato col titolo di Deep Red - Suspiria part 2. Ma prima accadde di tutto. Argento era partito dalla suggestione di una donna particolarmente sensitiva che avverte la presenza di una mente maligna nel luogo in cui si trova o è stata. Cominciò a scrivere ma il risultato finale del soggetto che mise su non lo convinceva. Così decise di farsi aiutare da un maestro fra gli sceneggiatori italiani, Bernardino Zapponi (che aveva scritto per Fellini, Risi, Sordi, Bunuel) e che suggerì di arricchire la storia con elementi realistici che sprigionassero fastidio e picchiassero sui nervi del pubblico. Il mix di mistero parapsicologico di Argento e di giallo pieno di inquietudine di Zapponi, fu assolutamente esplosivo.
Videointervista - Simonetti: "Come sono nate le musiche di Profondo Rosso"
I luoghi non luoghi e una colonna sonora da urlo
A contribuire al senso di continua tensione e di straniamento che domina tutto Profondo Rosso, è la costruzione geniale delle scene. Ambientate in una città non città, che ti sembra familiare ma ogni volta cambia, con riprese effettuate a Torino, Roma, Perugia. Una maestria nell'alternare e dosare suoni ambientali (spesso esaltati a tutto volume) musiche (splendidamente firmate dal jazzista Giorgio Gaslini e poi dai Goblin, subentrati su suggerimento di Daria Nicolodi, protagonista e compagna di Argento) e la messa in scena dei delitti con uno stile innovativo e di fortissimo impatto. Anche la scena più nonsense del film, quella del bimbo automa che si precipita meccanicamente verso la prossima vittima del maniaco a cui danno la caccia tutti (con burattino malefico firmato Rambaldi) ha l'effetto di toglierci il fiato.
Come pure la presenza della bambina dallo sguardo malefico, quella che uccide le lucertole e viene messa in riga da un padre più spaventoso di lei. Perfetta la scelta del cast, da David Hemmings preso subito dopo l'exploit di Blow Up di Antonioni (al posto di Lino Capolicchio che fini vittima di un grave incidente) allo psicotico Gabriele Lavia, dalla grintosa Nicolodi (Argento aveva appena rotto la relazione con Marilù Tolo e, perfido, in una scena fa buttare alla Nicolodi le foto della ex nella spazzatura) alla ex diva del muto Clara Calamai. Senza dimenticare i ruoli secondari affidati a grandi attori di teatro come Glauco Mauri e Giuliana Calandra. Ma è tutto Profondo Rosso a sconvolgere i nostri sensi, con la sua trama piena di fratture temporali e di indizi per risolvere la ricerca dell'assassino sparsi per tutto il film. E quel fotogramma subliminale al centro della sua durata, che torna solo nel finale. Va detto, dopo questo film e il successivo Suspiria, Dario Argento non è mai più tornato a questi livelli. Nostalgia, sinistra nostalgia.
Il trailer originale del 1975